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STORIA DELLA MEDICINA PER IMMAGINI

ANTONIO MOLFESE
 

LA MEDICINA PRIMITIVA

L'ILLUSTRAZIONE

Questo dipinto presenta un momento della cerimonia navaho del Canto della Montagna, che dura ben nove giorni. Tra gli antichi cerimoniali di medicina primitiva e di pittura su sabbia che hanno luogo presso gli Indiani d'America, quelli dei Navaho sono tra i più pittoreschi. In tali cerimonie si ritrovano tutti gli elementi della medicina primitiva: religione, magia, canti, interventi fisioterapici e psicoterapeutici, nonché impiego di medicinali. Dopo che la pittura su sabbia è stata completata, il paziente ci si siede sopra. L'uomo di medicina, o 'cantore', canta, prega e utilizza manufatti magico-religiosi e polveri sacre. Al paziente vengono dati alcuni sorsi di decotti di varie erbe, condivisi anche dall'uomo di medicina e dagli astanti. In seguito, sul corpo del malato vengono applicati dei pezzetti di pigmenti colorati, mentre si inalano i fumi di erbe aromatiche sparse su dei carboni ardenti. La famiglia e gli amici fanno da testimoni e si uniscono alle cerimonie, le quali hanno luogo in una hogan a uso medico.

 

PREMESSA

Non si può studiare correttamente nessun fenomeno naturale isolato: perché sia compreso, lo si deve analizzare nei suoi rapporti con la natura tutta.

Non è facile stabilire per quali vie i nostri antenati, secoli orsono, scoprirono e svilupparono l'arte del guarire. Le teorie sulle origini della medicina, infatti, sono in gran parte frutto di congetture, dal momento che non esistono documenti scritti e ci sono giunti soltanto disegni, rinvenuti in diverse grotte, che si riferiscono a una fase avanzata dell'Età della Pietra e spesso non sono di facile interpretazione.
Prima di illustrare le origini della medicina primitiva e del suo grande protagonista, il medico-sacerdote-stregone, sarà bene accennare alla paleopatologia. Etimologicamente significa «insieme delle malattie degli uomini antichi»: esiste infatti un'innegabile continuità tra le patologie passate e quelle dell'epoca attuale e a ragione, dunque, si include la paleopatologia nella storia della medicina, dal momento che quest'ultima, come la storia in generale, copre lo sviluppo globale della specie umana, dalle origini a oggi. La paleopatologia, insieme ai documenti scritti, può portare un importante contributo alla storia della medicina, in quanto la documentazione scritta non investe la totalità degli avvenimenti medici di ogni epoca e inoltre i testi, i quali in molte occasioni sono comunque fallaci o poco interpretabili, spesso sono andati perduti.
La paleopatologia consente di studiare in modo particolare le patologie correlate alle ossa. Queste ultime, infatti, conservano nel tempo, e quindi permettono di osservare ancora oggi, le alterazioni provocate dalle malattie. Tra le patologie diffuse in epoca preistorica vi sono: la tubercolosi, specie quella ossea, che interessa il cranio, la colonna vertebrale e le ossa degli arti superiori e inferiori; l'artrosi cervicale, tra le patologie più riscontrate nei reperti e alla quale si deve perciò togliere quel carattere di 'malattia della civiltà che troppo spesso le si attribuisce; l'alluce valgo, altra malattia molto frequente nei popoli preistorici e che attualmente è legata alla forma di alcune calzature (e infatti interessa in particolare le donne), mentre in epoca preistorica, come è ovvio, non era connessa all'imprigionamento dei piedi nelle scarpe, ma piuttosto costituiva una deformazione osteoarticolare, testimonianza dell'adattamento ancora imperfetto dell'uomo alla stazione eretta; i rapporti tra ossa contigue fratturate o lussate; alcune malattie infettive, come la sifilide.
Per quanto riguarda gli esiti del trattamento delle fratture e delle lussazioni, lo studio dei reperti consente di affermare che la frattura di un solo osso guariva spontaneamente, senza alcun intervento. Le fratture di due ossa appaiate, invece, che potevano portare ad accorciamento o angolazione piuttosto accentuati, dovevano essere curate e guarite appropriatamente, perché fosse possibile continuare a svolgere le attività quotidiane. In molti casi le ossa appaiono consolidate senza accavallamento e senza accorciamento eccessivi, quindi si può pensare che siano state usate delle ferule o siano state ridotte le fratture, con restitutio ad integrum quasi perfetta. Lo stesso vale per le lussazioni, in specie per quelle della testa dell'omero, come si riscontra in reperti provenienti da diverse parti del mondo. Studi più approfonditi dovranno accertare in qual modo gli antichi riuscissero a curare queste malattie. Anche il recupero delle funzioni articolari è stato riscontrato in numerosi casi di articolazioni patologiche, in cui la cartilagine era scomparsa e le superfici ossee erano state in seguito levigate a causa dello sfregamento; in questi casi si presume che l'individuo, con l'uso, abbia rimodellato le pseudo-cartilagini e reso possibile, anche se con qualche limitazione, la funzione motoria dell'arto interessato dalla lussazione.
Circa la comparsa della sifilide in Europa(1)
, è opinione generalmente condivisa dagli studiosi che essa debba essere fatta risalire al ritorno degli esploratori colombiani, che quindi l'avrebbero importata dall'America. Tuttavia, i dati raccolti da molti ricercatori contraddicono questa ipotesi. In particolare, C. J. Hackett(2), che ha dedicato uno studio approfondito all'argomento, ha stabilito che vi sono tre ordini di considerazioni — di carattere clinico, biologico e farmacologico — contro di essa. Per quanto riguarda l'aspetto clinico, occorre tenere presente che nel passato numerosi errori di diagnosi possono aver portato a confondere la sifilide con altre malattie, quali la blenorragia e la lebbra. Dal punto di vista biologico, sappiamo che il treponema esisteva in Europa prima dell'era colombiana, anche se aveva caratteri biologici diversi dal tipo americano: la sintomatologia della sifilide autoctona, infatti, era molto meno severa di quella di importazione. Infine, la considerazione di ordine farmacologico è che l'arrivo in Europa del guaiaco contemporaneamente alla spirocheta pallida avrebbe indotto gli osservatori a ritenere quest'ultima l'unica responsabile della sifilide.
Nel capitolo dedicato alla paleopatologia nella Storia della Medicina della Walk Over(3)
sono riportate notizie scientifiche interessanti tratte dall'esame completo di un corpo mummificato, con l'applicazione di tecniche radiografiche, istologiche, seriologiche, chimiche, batteriologice e parassitologiche(4). Anche gli studi eseguiti dai Cockburn(5) su alcune mummie hanno fornito risultati di notevole valore scientifico, che possiamo così riassumere: nel piccolo tratto dell'intestino che è stato rinvenuto si è potuta riscontrare, tra l'altro, un'infestazione da ascaris; numerose placche ateromasiche sono state rilevate sull'aorta; è stata diagnosticata una periostite delle ossa della gamba; la perforazione del timpano ha denunciato un'otite media; i polmoni sono apparsi affetti da silicosi, causata dalla sabbia del deserto; infine, sono state scoperte proteine appartenenti al gruppo delle gamma globuline, il cui studio, non ancora completo, è stato intrapreso per ricercare eventuali anticorpi.
Gli studi di paleopatologia, insomma, aiutano a gettare una qualche luce sulle radici della professione medica, che, come si è già accennato, sono sepolte in un'epoca pre-storica. La pratica di una qualche forma di medicina ha accompagnato lo sviluppo dell'uomo, condizionando in molti casi il cammino della civiltà; specialmente in epoca preistorica, la medicina è stata indissolubilmente legata a pratiche di tipo magico-religioso, presso popoli che avevano sviluppato interesse per la scienza e intendevano migliorare la qualità della loro vita.
I metodi per registrare gli avvenimenti furono messi a punto all'incirca nel 3000 a.C., e da quel momento in poi la storia ha iniziato a costruire le sue basi; tuttavia, agli albori della storia, la medicina era già una professione in pieno sviluppo e coloro che la praticavano avevano già un bagaglio di esperienze, conoscenze e credenze tramandate oralmente, in forma di precetti, nel corso dei secoli, da una lunga serie di predecessori.
L'uomo primitivo non ammetteva che la malattia potesse essere attribuita a cause naturali, ma la considerava piuttosto un fenomeno magico o magico-religioso. La medicina magica è sempre esistita (è un'attività spontanea e naturale) e non ha netti confini che la separino dalla medicina empirica, mentre ne ha di più precisi nei riguardi della medicina sacrale: infatti, la magia è un tentativo diretto dell'uomo di intervenire nello svolgersi degli eventi naturali, di imporsi alla natura per mezzo di un potere proprio, senza la mediazione della divinità.
Figure di maghi e di stregoni, che rappresentano la più antica classe professionale nell'evoluzione della società, sono state scoperte in una grotta dei Pirenei e sono i più antichi ritratti di guaritori. Gli utensili di pietra rinvenuti negli scavi potevano essere usati dall'uomo primitivo anche come strumenti chirurgici, così come gli aborigeni d'Australia ancora oggi usano un coltello di pietra focaia per eseguire incisioni. Anche i resti scheletrici dell'uomo preistorico di Età Paleolitica o Neolitica sono rivelatori delle malattie sofferte, in quanto recano segni evidenti di artrosi, di tubercolosi, di tumori ossei ed esostosi. Numerosi crani preistorici, inoltre, portano segni inconfondibili di trapanazioni, praticate molto prima che si concepisse qualsiasi altro intervento chirurgico.
Con l'andar del tempo, l'uomo primitivo si persuase che non tutte le malattie erano dovute ad agenti sovrannaturali e alcune di esse, meno gravi, erano curate con semplici mezzi casalinghi. Si sviluppò così un sistema di medicina casalinga e popolare(6)
tramandata per via orale, del quale troviamo traccia ancora oggi in tutte le nazioni del mondo (infatti, quanto di meglio è stato elaborato dalla medicina popolare è tutt'ora alla base dell'erboristica moderna). Non tutti i rimedi dovevano essere ingeriti, molti dovevano essere portati addosso a scopo di scongiuro (talismani) o a scopo curativo (come la moneta d'argento posta sulla sede dell'eresipela).
La medicina casalinga o popolare dell'uomo preistorico prevedeva anche l' 'estromissione' o il 'trasferimento', fattore principale nella cura delle infermità. Un esempio di questa metodica, praticata ancora oggi in alcune regioni dell'Italia meridionale, consiste nel praticare una fenditura in giovani alberi (frassini, querce), attraverso la quale vengono fatti passare, nudi, bambini affetti da ernia; dopo questa pratica l'albero viene legato e man mano che le sue parti si rinsaldano, si ritiene che ai bambini accada lo stesso, cioè che guariscano.
Per concludere, ogni elemento della vita scientifica, professionale o privata dei medici dei tempi passati è interessante per lo studioso: gli stadi successivi di elaborazione di una tecnica, le norme pittoresche di una composizione della triaca o di una fumigazione contro la peste. Nessun particolare è trascurabile, perché riflette una tradizione antica che le vecchie mitologie o i ricordi del pensiero logico non sempre arrivano a spiegare, oppure perché è legato alla situazione economica del tempo, o ancora perché è il risultato di un'associazione di idee, di un'analogia che oggi ci sembra sorprendente ma che rappresenta tuttavia uno dei primi aspetti del pensiero scientifico di allora. La presenza di zampe di ragno o di pelle di serpente in un farmaco medievale non deve suscitare la nostra ironia, in quanto per i nostri predecessori essa aveva una ragione, rispondeva a una necessità di cui si deve cercare la spiegazione. Essi non potevano ragionare, scrivere, curare diversamente da come facevano, poiché non avevano né le conoscenze, né gli strumenti mentali che avrebbero permesso loro di comportarsi come noi. La storia del pensiero delle scoperte mediche conosce numerosi sviluppi che formano un capitolo appassionante della storia delle scienze e dell'evoluzione dell'intelligenza umana e alcune fonti(7)
della storia della medicina, costituite dalle tradizioni (documenti sulla vita dei medici illustri, loro produzione medica in libri e trattati, atti delle associazioni, medaglie) rappresentano materiali indispensabili per la conoscenza dell'evoluzione del pensiero medico.
Notiamo, infine, che la scienza medica ha conosciuto negli ultimi decenni uno sviluppo più rapido che nei millenni precedenti e la medicina che si pratica oggi certamente non è quella che insegnarono gli illustri cattedratici degli anni Cinquanta. Chi avrebbe potuto credere, infatti, che nel 1936 la tubercolosi polmonare sarebbe stata sconfitta così facilmente, e poi che sarebbero stati vinti la poliomielite e il vaiolo, e che si sarebbe discusso seriamente, in seguito a esperienze chirurgiche, della possibilità di trapianti cardiaci, e via via fino al trapianto di organi geneticamente modificati o di cellule staminali?

 

LA SCHEDA

La medicina primitiva non ha tempo, è antica come gli abitanti delle caverne dell'Era Paleolitica, ma è anche attuale come quella di oggi.
Anche se le prime tracce della medicina primitiva risalgono a 10.000 anni fa, in questo momento c'è sicuramente qualcuno che la sta praticando in qualche remota area dell'Africa, dell'Asia, del Sud America, dell'Australia, delle isole del Pacifico o presso le tribù indiane o eschimesi del Nord America. Il progresso della medicina dalle origini ai nostri giorni non è stato uniforme: in alcune società che vivono nel mondo di oggi il livello culturale è rimasto quasi all'Età della Pietra e si può presumere che le loro pratiche mediche abbiano conservato molte delle caratteristiche di quell'epoca.
I membri di una società primitiva non fanno distinzioni tra medicina, magia e religione. Prima di tutto (non diversamente da noi), cercano di curare la malattia in modo pratico, ricorrendo ai rimedi casalinghi, senza formulare teorie o richiedere l'aiuto di un dottore. Ma, quando queste misure falliscono, prendono dei provvedimenti molto diversi da quelli a cui faremmo ricorso noi. Mentre noi presumiamo che la malattia e la morte derivino da cause naturali, gli uomini primitivi le considerano come opera di agenti soprannaturali: divinità, santoni, fantasmi o stregoni. Gli spiriti e i fantasmi vengono spinti ad agire nel momento in cui una delle norme sacre (tabù) viene trascurata o infranta dal paziente o da un membro della sua famiglia.
Ne segue per logica che la diagnosi di una malattia che ha una causa soprannaturale non può essere fatta in base alla sola osservazione e all'esame del paziente. L'uomo di medicina, dunque, deve utilizzare delle tecniche soprannaturali.
Analogamente, le cure per combattere, placare o sconfiggere tali cause soprannaturali devono essere in primo luogo soprannaturali e consistere in cerimonie magico-religiose. Di norma, esse sono principalmente preghiere e incantesimi, ma contengono anche elementi che noi definiremmo fisioterapici e psicoterapici, sebbene interpretati in termini magico-religiosi. Dal momento che l'uomo primitivo è particolarmente incline alla suggestione, ecco spiegata la sua grande reattività alle formule magiche, agli incantesimi e agli altri riti magici, nonché la paura di violare i tabù.
Non c'è dubbio che la medicina primitiva consegue una parte non trascurabile dei propri risultati grazie a terapie che agiscono sulla psiche. La confessione e la suggestione, che occupano una posizione di primo piano nella pratica medica delle società primitive, sono recentemente tornate in auge anche nel nostro sistema medico. La medicina primitiva non fa distinzioni tra patologie fisiche e mentali. Sicuramente il paziente trae un notevole senso di sicurezza dalle cerimonie magiche e religiose, cui partecipano sia la propria famiglia, sia la comunità di appartenenza. C'è quindi da aspettarsi un conseguente miglioramento dello stato d'animo e della risposta fisica e, con il potenziamento dei meccanismi di difesa del corpo, forse persino gli invasori batterici potrebbero ricevere qualche colpo.
Colui che pratica la medicina nella società primitiva, l'uomo di medicina, è prima di tutto un sacerdote o uno sciamano. In confronto agli altri membri della tribù è un uomo colto, perché conosce più degli altri il mondo trascendente, tanto che a volte riesce a controllarlo. Spesso egli è l'unico 'professionista' in una società indifferenziata: non è né un impostore, né uno psicopatico, come a volte si è erroneamente supposto, le sue pratiche magiche e illusionistiche hanno un valore simbolico e seguono un codice rigido e un rituale prestabilito. Egli è in buona fede e gli antropologi ritengono che la sua correttezza sia pari a quella del medico moderno.
Tutti gli elementi della medicina primitiva — la religione, le danze sacre, la magia, le preghiere, gli inni, la mitologia, mescolati ad alcuni elementi razionali — si possono oggi ritrovare nelle splendide e pittoresche cerimonie dei canti sacri, praticate, quasi inalterate, da almeno un secolo o forse più, dagli indiani Navaho degli Stati Uniti sud-occidentali.
I Navaho sono un popolo molto religioso appartenente alla stirpe Athabaska (imparentati con diverse tribù del Canada nord-occidentale) che si spostò verso sud, in quella che oggi è la parte sud-occidentale degli Stati Uniti, intorno al 1000 d.C. Secondo alcuni antropologi, i Navaho, come tutte le tribù indiane del Nord e del Sud America, discendono da quel popolo che, attraverso la striscia di terra che collegava l'Asia alla Siberia, iniziò circa 10.000 anni fa ad emigrare verso il continente americano. Attualmente i Navaho vivono principalmente in una regione semi-arida che si trova a cavallo tra il Nuovo Messico, l'Arizona e lo Utah.
La maggior parte dei rituali navaho vengono celebrati con un fine preciso: far ritornare la salute e assicurare l'immunità da ulteriori malattie. Con questi rituali essi sperano di propiziarsi il Popolo degli Spiriti, esseri soprannaturali che hanno un grande potere sugli uomini della Terra. I canti navaho hanno sempre una base mitologica. Ogni cerimoniale ha le proprie canzoni, preghiere e medicine a base di erbe, e molti di essi hanno anche i propri specifici disegni su sabbia.
Sono stati contati circa 600 diversi disegni su sabbia, in ognuno dei quali sono raffigurate determinate divinità o eventi a esse associati nella mitologia navaho. Tecnicamente, queste raffigurazioni realizzate su una base di sabbia pulita o, occasionalmente, su una pelle di cervo o su un pezzo di stoffa, di solito all'interno di una hogan (la tipica dimora navaho, o talvolta in una capanna costruita a uso appositamente medico), dovrebbero forse chiamarsi pitture a secco in quanto, per alcuni tipi di cerimonie, vengono utilizzati anche vari materiali minerali e vegetali triturati. I soggetti di queste rappresentazioni, che gli uomini di medicina o 'cantori' conoscono a memoria, si tramandano da maestro ad allievo. Al membro della tribù navaho che aspira a diventare un `officiante' dei rituali religiosi sono quindi richiesti molti anni di apprendistato e di studio.
Sebbene tali riti possano variare molto per quanto riguarda i canti, le preghiere e le pitture su sabbia, la sequenza di base seguita dai Navaho è più o meno sempre la stessa: la famiglia e gli amici si riuniscono nella hogan e partecipano con il paziente alle cerimonie. Non appena viene ultimata la pittura su sabbia, il paziente ci si siede sopra e inizia la cura dei canti, con l'accompagnamento di musica e preghiere. Quando la cura è terminata il paziente lascia la hogan, la pittura viene cancellata e la sabbia portata fuori e disposta secondo il rituale.
Tra le cerimonie o canti navaho, una delle più elaborate e pittoresche è il Canto della Montagna. Il dottor Washington Matthews descrisse questo canto con dovizia di particolari in una Relazione al direttore del dipartimento di etnologia della Smithsonian Institution, pubblicata nel 1887(8)
.
Matthews afferma che gli scopi del Canto della Montagna sono vari: «La ragione palese della sua esistenza è la cura delle malattie; ma è anche un'occasione per invocare, a nome di tutto il popolo in generale, le potenze invisibili per svariati motivi... Sembra che abbia anche il fine di tramandare il loro simbolismo religioso [...] La scorsa notte [...] era una di quelle occasioni in cui tutta la gente si riunisce per fare festa. Il paziente si fa carico delle spese e, probabilmente, oltre al favore e all'aiuto degli dèi e alle lodi dei sacerdoti, spera di procurarsi anche una certa distinzione sociale per la sua generosità».
Le cerimonie dei primi quattro giorni (il rito del Canto della Montagna dura nove giorni) sono le meno interessanti. Di prima mattina, a digiuno, il paziente, il cantore e tutti coloro che lo desiderano, uomini e donne, entrano nella hogan cerimoniale. Seduti intorno al fuoco, bevono un infuso emetico caldo, ottenuto da varie piante, e sudano abbondantemente. A volte vengono fatti dei piccoli disegni sulla sabbia attorno al fuoco o vengono compiuti altri riti, come cospargersi con una lozione a base di erbe profumate.
Il quinto giorno, secondo quanto descritto dal dottor Matthews, viene disegnata per terra all'interno della capanna la prima delle raffigurazioni sacre sulla sabbia. Il sesto giorno viene disegnata un'altra figura sulla sabbia; ma uno dei disegni più interessanti viene eseguito il settimo giorno. «Il lavoro dei disegnatori ebbe inizio poco dopo le 6 del mattino e non finì prima delle 2 del pomeriggio; circa 12 uomini assistevano l'uomo di medicina, il quale, facendo ben poco del lavoro manuale, lo osservava, spesso lo criticava e lo correggeva. Quando il disegno, che rappresentava quattro alti dèi, fu terminato, il cantore dispose del polline di sacro mais sulle sopracciglia, sulla bocca e sul petto di ciascun dio. Si udì un fischio, la donna malata entrò con una compagna e cosparse il pavimento di farina di granoturco. La paziente si tolse i mocassini, si spogliò fino alla vita e si sedette sul disegno del dio in bianco; a questo punto i canti e i colpi di tamburo ricominciarono. Senza smettere di cantare, il cantore spruzzò su tutta la figura un decotto freddo di erbe che aveva preparato precedentemente. Poi ne spruzzò un altro po' su ognuno degli dèi, ne fece bere due sorsi alla paziente e alla compagna, ne bevve lui stesso, e infine diede i sedimenti agli astanti, affinché se li passassero l'un l'altro. In seguito applicò i pigmenti presi da varie parti delle figure alle parti corrispondenti della paziente; seguirono infine dei riti di suffumigazione, che consistevano nello spargere delle erbe dal forte odore aromatico su dei carboni ardenti.
L'ottavo giorno fu realizzato sulla sabbia un disegno meno elaborato (sebbene in alcune cerimonie la raffigurazione più elaborata sia l'ultima), accompagnato da riti molto simili a quelli dei tre giorni precedenti. Mentre nella capanna del medico accadeva tutto ciò, fuori una grande pila di legna veniva accatastata al centro del recinto, dove iniziava a radunarsi un gran numero di persone. Si preparava una grande quantità di cibo e si organizzavano dei giochi per passare il tempo. Il nono giorno, fino al tramonto, continuarono i preparativi per le cerimonie successive. Dopo il tramonto, il vecchio cantore si posizionò nella parte est del recinto e iniziò a cantare. Il recinto, a forma di grande cerchio, era fatto con dei rami d'albero, la gente quindi si radunò all'interno del recinto, fu acceso un grande fuoco ed ebbero luogo le danze, notevoli per la loro audacia e durata. Le danze furono almeno dodici e durarono tutta la notte e il cantore cantò per tutto il tempo, ininterrottamente. Poco dopo l'alba, il recinto fu demolito, il cantore raccolse i suoi strumenti sacri e se ne andò; la paziente salutò e ringraziò i suoi amici per aver partecipato e contribuito a curare la sua malattia».
La tecnica della pittura su sabbia è un'arte e le figure vengono disegnate in base a un sistema preciso. Secondo gli uomini di medicina, i modelli da seguire vengono trasmessi dal maestro all'allievo e, per ciascuna cerimonia, restano inalterati anno dopo anno da una generazione all'altra. Il pittore pone sul palmo della mano delle polveri colorate che si trovano in contenitori fatti di corteccia d'albero o altro materiale, poi le prende con il pollice e l'indice e le passa sul disegno. Il livello di accuratezza raggiunto dal suo metodo a mano libera è stupefacente.
La logica dell'uomo primitivo è diversa dalla nostra. Sebbene a un osservatore moderno la sua medicina sembri strana, se non assurda, nel contesto del modo in cui una società primitiva considera la vita essa ha significato e logica. Questo tipo di medicina è piuttosto efficace, tanto da continuare a essere impiegato da varie società primitive, anche se in competizione con i moderni concetti medici trasmessi loro da missionari, medici e amministratori governativi.

 

NOTE

1 - La letteratura cinquecentesca che rifà a ritroso la storia sulla sifilide è molto vasta; se ne indicano i capisaldi anzitutto nelle osservazioni- descrizioni dei medici spagnoli, in primis del medico-vescovo Gaspar Torrella, curante di casa Borgia in seno alla corte papale di Alessandro VI, che parla di pudendagra («affezione delle parti pudende»). Importante quanto celebre è la testimonianza di Josef Griinpeck, chierico di Augusta, autore del Tractatus de pentilentia scorra (1496) e di un Libellus de mentulagra (1503), nei quali descrive la propria malattia con modi e toni da medico-paziente attendibile: «Il suo racconto è uno dei testi più belli e più terrificanti che siano mai stati scritti sulla sifilide» (Claude Quetel, Il mal francese, trad. it. di Maddalena Longo, Il Saggiatore, Milano 1993, p. 25). Il medico Sebastiano Aquilano, in un trattatello De morbo gallica, pubblicato nel 1498, dice come Leoniceno di credere che il morbo sia antico; di parere opposto è il medico genovese Giacomo Cataneo, autore di un trattatello coevo. Nei primi anni del Cinquecento, Antonio Benivieni, nell'opera De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis, pubblicata nel 1507 (cinque anni dopo la morte dell'autore), scrive che la malattia colpisce prima i genitali con pustole esulcerate e poi tutto il corpo con pustole sordide e rosse: questo 'prima' e questo 'dopo' sono indizi di un'interpretazione che porterà alla nozione di manifestazioni primarie e secondarie. In piena epidemia il medico Giovanni da Vigo, archiatra di papa Giulio II, che era affetto dal male, afferma nel De practica copiosa che il mal francese ha origine, senza eccezioni di sorta, «in vulva in mulieri bus et in virga in hominibus>. Ulteriori importanti contributi alla precisazione dell'identità della malattia e alla proposizione di cure in qualche modo efficaci sono portati da medici italiani quali Giovanni Manardi, Nicola Massa, Antonio Musa Brassavola, Gabriele Falloppio.

2 - C.J. Hackett, The Human Treponematosis, in Diseases in Antiquity, a cura di D.R Brothwell, A.T. Sandison, Springfield (Illinois) 1967.

3 - Storia della Medicina della farmacia, dell'odontoiatria e della veterinaria, Walk Over Italiana, Bergamo 1982. La trattazione mette in luce, tra l'altro, il fatto che la rappresentazione femminile in Età Paleolitica (in particolare quella delle cosiddette 'Veneri') generalmente mostra figure con inizi di obesità. L'iconografia si sofferma specie sul ventre, sul seno e sul volto, raramente sulle estremità superiori o inferiori: il simbolismo del ventre voluminoso, la raffigurazione degli organi genitali e della pinguedine (che spesso accompagna le donne durante la gravidanza) sono stati interpretati come segni della volontà degli artisti di rappresentare la donna nella sua fecondità.

4 - Come abbiamo osservato, se è difficile l'accertamento di segni o di reperti patologici su ossa e corpi conservati per arrivare a una presunta diagnosi di malattia, ancora più difficile è raggiungere conclusioni certe circa l'azione terapeutica esplicata dai farmaci dell'epoca sui reperti.

5 -  A. Cockburn, E. Cockburn (a cura di), Mummies, Disease, and Ancient Cultures, Cambridge 1980.

6 - La medicina popolare è una miniera di superstizioni molto curiose e sovente i suoi insegnamenti sono tramandati oralmente e risalgono alle epoche più remote, salvo una piccola parte di essi, che è stata tramandata per iscritto.

7 - Con il termine 'fonti' indichiamo tutti i reperti del passato utili per ricostruire un periodo storico. Esse possono essere classificate con criteri diversi; la distinzione più importante è quella tra 'resti materiali' e 'testimonianze figurate o scritte'. Per resti materiali si intendono svariati elementi (ossa, scheletri, mummie, utensili); accanto ai resti materiali, ma non sempre distinte da essi, troviamo le testimonianze figurate o scritte (incisioni rupestri lasciate dagli uomini preistorici, papiri di epoca egizia o greca, monete ed epigrafi). Nel novero delle fonti possiamo considerare anche il patrimonio linguistico di una certa epoca che è riuscito a sopravvivere, gli usi e i costumi, le abitudini, le feste; anche questi, infatti, sono resti delle età passate che parlano allo storico al pari di un monumento o di un elmo. Spesso, dunque, i resti materiali coincidono e si sovrappongono con le testimonianze scritte. Vi sono poi le testimonianze orali; quelle antiche ci pervengono, ovviamente, se riferite per iscritto dai resoconti degli storici del tempo, quindi sono orali solo in un senso mediato (mentre nelle ricerche di storia contemporanea larga attenzione viene prestata ai racconti orali dei testimoni diretti di fatti).
Le fonti, poi, possono essere distinte anche in 'primarie' e 'secondarie'. Per fonti primarie intendiamo i documenti che appartengono all'epoca studiata e testimoniano direttamente un evento; per questo motivo vengono chiamate anche fonti dirette. Le fonti secondarie (o indirette) sono invece documenti che raccontano l'evento, offrendo una testimonianza mediata. Naturalmente le fonti primarie hanno maggiore importanza, perché non sono inquinate dalle inevitabili deformazioni prodotte dalla trasmissione attraverso più persone e dall'interpretazione.
Un'ulteriore divisione va fatta tra fonti 'intenzionali' e 'non intenzionali'. Una fonte intenzionale, ad esempio, è costituita dalle memorie che un personaggio scrive, con l'intento di tramandare ai posteri il suo racconto e la sua interpretazione delle vicende che lo hanno visto protagonista. Naturalmente una fonte intenzionale risente in partenza del fatto che l'autore ha inteso offrire una 'sua' visione degli eventi e ha costruito un documento proprio con l'obiettivo di trasmettere ai posteri un certo messaggio. Una fonte non intenzionale può essere invece l'epistolario privato e non ufficiale di un personaggio storico.

8 - W. Matthews, The Mountain Chant. A Navajo Ceremony, U.S. Bureau of American Ethnology, Fifth Annual Report (1883-84), Smithsonian Institution, Washington DC, 1887.


 

"La Trapanazione del Cranio nell'Antico Perù"  SEGUE >>       

 

 

 

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