LA TRAPANAZIONE DEL CRANIO NELL'ANTICO PERU'
|
L'ILLUSTRAZIONE
Nell'arida e assolata costa della
penisola di Paracas, sull'Oceano Pacifico, un chirurgo peruviano del
I secolo si accinge a effettuare un'operazione di trapanazione,
servendosi di alcuni coltelli di ossidiana dura, di una pianta
narcotica, di cotone e di bende. Durante l'effettuazione della
rischiosissima operazione, gli assistenti tengono immobile il
paziente e un sacerdote invoca l'intervento sovrannaturale mediante
incantesimi e preghiere. |
PREMESSA
Curare i malati è come forare una perla, e il medico deve usare ogni cura
per non distruggere la perla affidata alle sue mani.
Gli studi di paleopatologia si fondano, come già accennato, sull'esame di
alcune categorie di reperti. Ricordiamo anzitutto gli 'uomini delle
torbiere', rinvenuti in Danimarca, Germania e Olanda e risalenti al 1000
a.C. circa, a cavallo tra Età del Bronzo ed Età del Ferro. Lo stato di
conservazione di questi reperti è straordinariamente buono, sebbene gli
scheletri abbiano sofferto molto dell'acidità dell'ambiente. I corpi
mummificati costituiscono anch'essi una tipologia molto interessante
perché possono essere studiati anche utilizzando tecniche di laboratorio
molto elaborate. Un esempio di recente rinvenimento è la 'mummia umida',
ritrovata nel 1991 sul ghiacciaio alpino del Similaun, al confine tra
Italia e Austria, e attualmente conservata al Museo Archeologico dell'Alto
Adige a Bolzano. Essa risale a circa 5300 anni fa ed è comunemente
chiamata `Otzi'.
Tuttavia, i reperti più abbondanti e diffusi sono senza dubbio quelli
scheletrici, la cui utilizzazione a fini di ricerca presenta però dei
limiti, in quanto l'osso riflette e conserva solo una parte della
patologia da cui era stato colpito. Questa può essere individuata mediante
osservazione al microscopio o per mezzo di analisi radiologiche o
chimiche. In particolare, tra i reperti scheletrici di epoca preistorica
vanno annoverati i crani trapanati.
La trapanazione del cranio è stata largamente praticata dai popoli
preistorici, e le sue modalità di realizzazione sono oggi ben note. È da
notare che i reperti della chirurgia preistorica sarebbero davvero scarsi
(un osso con una punta di freccia; una punta di coltello di pietra rimasta
conficcata in un astragalo; ossa dipinte di rosso in tombe neolitiche), se
non esistesse appunto il vasto capitolo dei crani trapanati, rinvenuti in
tutti e cinque i continenti(1).
In particolare, nel 1925 l'archeologo peruviano Julio César Tello(2)
ne trovò un esteso deposito nella penisola desertica di Paracas (200
chilometri a sud di Lima), e affermò senza ombra di dubbio che le
trapanazioni erano tutte state eseguite su persone vive, come
testimoniavano i segni di rigenerazione dell'osso sui margini del foro. Se
i crani trapanati rinvenuti in Francia(3)
e in Italia sono preistorici, quelli peruviani appartengono alle civiltà
Mochica e Paracas, cioè al I secolo a.C.(4);
i fori sono in parte rotondi, eseguiti con raschiatoi, in parte quadrati,
eseguiti con quattro tratti di sega; sono associate frequentemente fessure
radiali e tangenziali, che sono tipici segni di frattura; nei crani
peruviani i fori si trovano sull'osso occipitale.
È stupefacente, dunque, la frequenza di trapanazioni del cranio presentata
dai teschi venuti alla luce. Da uno studio accurato di queste
trapanazioni, che sono senza dubbio le più meravigliose testimonianze
dell'abilità manuale dell'antico chirurgo-stregone, si è potuto stabilire
che in alcuni casi esse erano eseguite sul cadavere (e sono le più
numerose), in altri sull'individuo vivo, ma deceduto dopo l'intervento per
l'insuccesso dell'atto operatorio o per sopravvenute complicazioni (non
c'era neppure la più pallida idea di disinfezione) o infine (sono i casi
più rari) sull'individuo vivo e sopravvissuto all'intervento con esiti di
guarigione, come si deduce dalla cicatrizzazione senza complicanze della
superficie di sezione: in tali casi, l'operatore era dunque già
perfettamente padrone della tecnica.
Le trapanazioni del primo gruppo erano suggerite senza dubbio da ragioni e
pratiche religiose: estrarre gli spiriti bellici del nemico ucciso o
trarre dal suo cranio rotelle ornamentali. Quelle del secondo e terzo
gruppo, invece, dovevano essere praticate con veri e propri intenti
curativi: molto probabilmente miravano a far uscire dal capo del malato il
demone cattivo, forse in casi di cefalee persistenti o croniche, di
isterismo e di epilessia. Rimane comunque mirabile la tecnica con la quale
le trapanazioni erano eseguite, tecnica che, se in alcuni casi si limitava
a due incisioni curve e convergenti agli estremi, nella maggior parte
giungeva a segare un rettangolo osseo, previa trapanazione del cranio ai
quattro vertici del rettangolo stesso, o a ricorrere a serie di forellini
allineati in modo da distaccare una porzione rettangolare o rotonda della
calotta cranica.
Questa operazione chirurgica, di cui troviamo prove tanto sicure in crani
di data preistorica, provenienti da diverse parti del mondo, viene ancora
praticata da alcuni popoli primitivi (in alcune isole del Pacifico
meridionale, la trapanazione viene eseguita ancora oggi come rimedio
contro l'epilessia, la cefalea e la pazzia).
Trapanazioni praticate nelle razze primitive in varie parti del mondo(5),
molto distanti le une dalle altre, sono state studiate attentamente ed è
stato accertato che l'intervento veniva eseguito in caso di fratture
traumatiche, spesso conseguenti alle lotte fra tribù. Lo strumento per la
trapanazione era un pezzo di conchiglia o di ossidiana. Dopo
l'asportazione della tavola cranica, la ferita era bendata con strisce di
gambo di banano o di papiro; quando dopo la trapanazione erano presenti
segni di rigenerazione ossea, era indizio evidente di guarigione. La
mortalità era del 20% circa, ma ciò era dovuto più al trauma originario,
piuttosto che alla successiva operazione; in conclusione, quindi, i motivi
della trapanazione tra i popoli primitivi erano, da una parte, di ordine
religioso-magico, dall'altra, terapeutico.
Hilton-Simpson(6)
descrive con dovizia di particolari la trapanazione del cranio da parte
degli Arabi; l'arte medica era ereditaria, si tramandava da padre in
figlio e all'occorrenza veniva seguito anche il trapianto osseo per
rimpiazzare ossa distrutte da ferite o da malattie (a tale scopo si
adoperavano ossa di cani o di bovini appena uccisi e i risultati erano
ottimi). Questi medici empirici arabi, avendo discrete conoscenze di
chirurgia, operavano generalmente al cranio per fratture in seguito a
percosse, non coinvolgevano nel taglio una sutura e la dura madre non
doveva in alcun caso essere lesa. L'intervento consisteva
nell'asportazione di un lembo circolare del cuoio capelluto, quindi l'osso
veniva forato mediante un piccolo trapano e una seghetta di metallo. Anche
in questi casi, le motivazioni della trapanazione del cranio erano varie:
per motivi terapeutici, per le malattie di coloro che erano considerati in
preda al demonio, e diagnosticate come epilessia, alienazione, tumore del
cervello, nevralgia del trigemino(7);
anche le fratture violente della volta cranica erano curate con la
trapanazione.
Per la trapanazione, nell'Età della Pietra veniva utilizzato un attrezzo
litico (ossidiana), il cui taglio era probabilmente migliore di quello
delle lame metalliche ed il punto più propizio per l'intervento era la
zona parietale. Curiosa era la tecnica seguita dai chirurghi peruviani:
due giorni prima dell'intervento si rasava accuratamente il cranio e vi si
applicavano alcune foglie di coca per ammorbidirlo e anestetizzarlo. Il
giorno dell'intervento, previa semianestesia generale con una bevanda
alcolica, la base del cranio veniva fissata con una specie di garrota
stretta con lana di lama; si incideva poi lo scalpo con uno strumento in
rame, argento e oro a forma di T rovesciata, detto Turni, che penetrava
fino allo strato intermedio della volta cranica (diploe). Si asportava
infine questo primo tassello con l'aiuto di punte di ossidiana e di
apposite pinze; seguiva a mezzo del Turni, il taglio del tavolato osseo
interno (era il momento più delicato dell'operazione, dato il pericolo di
ledere organi delicati meningi e seni venosi). Una volta asportato il
secondo tassello di osso, si tamponava la breccia con del cotone dopo
avervi cosparsa una polvere a base di mercurio o di solfato di rame; la
ferita veniva fasciata con bende di cotone o di stoffa e la breccia ossea
veniva protetta con una placca di metallo (oro, argento e piombo) o
corteccia di zucca.
Il problema dei crani trapanati ha costituito e costituisce un enigma di
cui gli studiosi stanno cercando di comprendere le ragioni mediche e non
quelle per le quali sono state effettuate queste pratiche. Le soluzioni
proposte sono numerose e la più semplice è la teoria animistica, l'ipotesi
di una pratica magica intesa a estrarre dalla testa del paziente, malato o
colpevole, i demoni o gli spiriti nocivi che vi albergavano, ma non vi è
nulla che comprovi la realtà di questa asserzione. L'altra ipotesi è che
si tratti di una pratica terapeutica, giusta o errata, applicata per certi
disturbi: e questa ipotesi è suffragata dalle trapanazioni praticate su
crani che avevano subito fratture. Gli etnologi infine hanno notato che,
per quanto riguarda i crani di epoca più recente, le aree in cui si
rinviene la trapanazione corrispondono alle aree in cui venivano usate la
fionda e la clava a testa grossa (queste armi provocavano fratture
craniche molto frequenti, che invece erano rare presso i popoli che
usavano armi a punta). Ora l'accostamento è certamente suggestivo, esclude
qualsiasi intento mistico o rituale nella trapanazione e, secondo il
concorde parere degli studiosi, può essere trasposto dai primitivi più
recenti ai primitivi più remoti; si tratterebbe quindi di vera e propria
medicina pratica, o magica, ma non di rito religioso.
Si trapanava perché si avevano affossamenti in seguito a traumi violenti o
per caduta, oppure era la cefalea persistente che fosse o no post
traumatica, o si apriva il cranio per la cura dell'epilessia.
Le testimonianze a nostra disposizione sono troppo scarse perché possiamo
arrivare a conclusioni definitive circa il modo in cui è sorta l'arte del
guarire; non è tuttavia irragionevole supporre che le cure delle ferite o
delle malattie si siano sviluppate secondo due filoni distinti. Il primo,
fondato su credenze magiche e religiose, consisteva nel trattare 'l'anima'
del paziente o nel persuadere o forzare lo spirito malefico, che era
entrato nel suo corpo, ad uscirne; il secondo, usato all'inizio soltanto
per disturbi di poco conto, aveva i caratteri della medicina popolare o
domestica e gran parte della sua essenza sussiste ancora, perfino nei
popoli civilizzati (con l'andare del tempo, i due metodi si sono
intrecciati e mescolati). Ad esempio, la trapanazione del cranio,
praticata in origine per permettere a un demone di uscirne, finì per venir
applicata nei casi di frattura del cranio con depressione del frammento
osseo, e più tardi ancora in molte altre lesioni intracraniche; è anche
degno di nota il fatto che la medicina popolare, pur contando alcuni
rimedi razionali, ne ha molti estremamente irrazionali ed è intimamente
mescolata a superstizioni, incantesimi e altre forme di magia, il che
dimostra che il concetto originale — la malattia come il fenomeno
sovrannaturale — è persistito inalterato attraverso i secoli fin dai tempi
neolitici.
LA SCHEDA
Uno dei
più importanti atti medici, storicamente parlando, è la trapanazione del
cranio, un intervento chirurgico effettuato sulla testa e sul cranio di un
individuo vivo.
Crani che risalgono a 8000 o a 10000 anni fa e che recano evidenti segni
di trapanazione costituiscono quasi l'unica prova disponibile
dell'attività medica dell'uomo preistorico del Vecchio Mondo. Ma questi
crani costituiscono anche la prima prova di attività mediche praticate nel
Nuovo Mondo nell'Età della Pietra, che in diverse zone durò fino
all'arrivo dell'uomo bianco, nel XIV secolo.
Non è possibile stabilire con certezza se la trapanazione abbia avuto
origine in modo indipendente nelle varie aree geografiche, o si sia
diffusa partendo da un unico centro originario situato nel Vecchio Mondo.
Le testimonianze della pratica di aprire il cranio umano con mezzi
chirurgici artificiali vanno dalla Preistoria all'Era moderna. Sono stati
ritrovati diversi crani trapanati in Francia e in altre parti d'Europa, in
Nord-Africa, in Asia, in Nuova Guinea, a Tahiti e in Nuova Zelanda.
Nel Nuovo Mondo la pratica era particolarmente diffusa, dal momento che
numerosi reperti sono stati trovati nell'isola di Kodiak in Alaska, tra
gli Indiani che abitavano sia l'entroterra sia la costa occidentale, e in
varie aree del continente americano fino alle regioni andine dell'America
del Sud. Alcuni antropologi ed etnologi ritengono che gli antichi popoli
del Nord e del Sud America vi siano giunti traversando una striscia di
terraferma, oggi sommersa sotto lo stretto di Bering, portando con sé
tecniche e culture di matrice euroasiatica. Si pensa che questa gente si
sia spinta a sud fino allo stretto di Magellano dove, secondo Junius Bird(8),
già nel VII millennio a.C. viveva una popolazione di cacciatori nomadi.
Ales Hrdlicka(9)
afferma: «Essendo la procedura [della trapanazione] molto complessa, è più
probabile che abbia avuto origine nel Vecchio Mondo e da lì si sia poi
diffusa in America. La sua vasta diffusione [nell'emisfero occidentale]
avvalora chiaramente la tesi di una matrice asiatica».
Sembra che nel Nuovo Mondo il più importante centro di pratica intensiva
della trapanazione fosse il Perù. In questa zona risulta che tali
operazioni sono state di uso comune da prima dell'inizio dell'Era
cristiana fino al XX secolo.
A differenza delle antiche civiltà europee e asiatiche, gli antichi
Peruviani non possedevano una lingua scritta, e noi purtroppo non siamo in
grado di capire il significato degli spaghi annodati (quipus) di
cui probabilmente si servivano per registrare e documentare gli eventi.
Per questa ragione la maggior parte delle informazioni sui Peruviani
proviene dall'esame delle mummie e del corredo funebre che le accompagna,
nonché delle loro magnifiche ceramiche sulle quali sono spesso
rappresentate persone ammalate o con mutilazioni causate da infezioni come
la uta (leishmaniosi) e il morbo di Carrion. Su questi antichi documenti
peruviani di ceramica, forgiati con grande abilità, elaborazione artistica
e non poco umorismo indigeno, sono anche raffigurate diverse scene e
pratiche legate alla medicina.
Sebbene delle popolazioni nomadi abitassero quei luoghi già da un'epoca
precedente e sebbene in Sud America si possano individuare dei precisi
nuclei di civiltà già dal 2500 a.C., i reperti che testimoniano l'uso
della trapanazione sono più numerosi tra i popoli sedentari che abitavano
la stretta fascia costiera occidentale. Le civiltà Chimù e Mochica, che si
svilupparono a partire dal 500 a.C., mostrano, ad esempio, tali
testimonianze.
Le loro tombe contengono parecchi crani trapanati e le loro ceramiche,
sulle quali sono raffigurate quasi tutte le attività quotidiane,
presentano anche delle scene di trapanazione. Tuttavia, la fonte più ricca
di informazioni in proposito proviene dai Paracas, un piccolo gruppo di
persone con un grado di civiltà piuttosto avanzata che occupava l'area
attorno alla penisola di Paracas, a sud di Lima. Questa civiltà precedette
la fondazione dell'impero Inca di parecchi secoli e, all'epoca in cui gli
Inca furono conquistati dagli Spagnoli, era già stata dimenticata.
«Tra la gente di Paracas non c'erano solo eccellenti artisti (come
dimostrano i loro magnifici ed elaborati tessuti e le splendide ceramiche
scolpite a fuoco), ma anche uomini di scienza» afferma Rebeca Carrión
Cachot(10).
«Fecero grandi conquiste nel campo della medicina e soprattutto in quello
della chirurgia [...] Praticavano delle audaci trapanazioni su aree estese
del cranio e tali aperture venivano poi ricoperte con lastre d'oro».
Tra i reperti rinvenuti in Perù la percentuale dei crani trapanati con
successo è altissima. Questi antichi Peruviani erano in grado di eseguire
un'operazione che, fino alla fine del XIX secolo, i chirurghi occidentali
consideravano molto pericolosa. È stata anche rilevata la reiterazione
dell'operazione su uno stesso individuo: uno dei teschi, ad esempio,
mostra cinque fori di trapanazione. La sopravvivenza del paziente è
dimostrata in molti casi dalla prova dell'avvenuto processo di
cicatrizzazione postoperatoria.
In Perù il frequente ricorso alla trapanazione era probabilmente associato
a parecchi disturbi comuni e le ferite alla testa erano indubbiamente la
ragione più frequente, come sottolineano Muniz e McGee(11),
i quali osservano: «Se si prendono in considerazione il genere di armi
offensive usate dagli antichi Peruviani nelle loro terribili guerre
combattute quasi corpo a corpo [fionde, grandi bastoni di legno, mazze
dentate, bastoni di pietra e asce], è facile comprendere che le fratture
complesse del cranio con depressione delle lamine ossee dovevano essere
molto comuni». Molti crani trapanati indicano che tali fratture comminute
motivarono l'operazione; tuttavia la trapanazione veniva probabilmente
impiegata anche nel tentativo di alleviare emicranie o malattie mentali.
La pratica alquanto diffusa di deformare artificialmente il cranio
(appiattimento occipitale e frontale- occipitale) rendeva questi disturbi
più frequenti qui rispetto ad altre zone ove essa non era di uso comune. È
possibile che coloro che praticavano tale operazione mirassero a liberare
i demoni e i diavoli, piuttosto che ad alleviare la pressione cranica.
«Quali che fossero le ragioni» affermano Wakefield e Dellinger(12)
«esse dovevano sembrare appropriate agli interessati, in quanto
l'operazione era terribilmente pericolosa date le condizioni in cui l'uomo
primitivo era costretto ad agire [...] una certa autorità da parte di
colui che operava e dei suoi assistenti doveva essere una condizione
necessaria».
I Peruviani usavano per la trapanazione degli affilati coltelli di
ossidiana, pietra e bronzo, nonché strumenti di osso, bende, cotone nativo
e altre attrezzature supplementari. Tra i procedimenti vi erano la
rifinitura, la raschiatura, la segatura e il taglio. Alcune incisioni
venivano fatte con dei tagli a croce, altre erano quadrate, poligonali,
circolari o ovali e venivano anche praticate delle perforazioni. Nessuna
parte della volta cranica veniva risparmiata. Hrdlicka(9)
scrive: «I chirurgi primitivi molto spesso osavano più di quanto
oserebbero i moderni. Alcune operazioni, dall'esito peraltro positivo,
venivano eseguite direttamente sui grandi vasi sanguigni (seni venosi). I
chirurghi primitivi delle Ande utilizzavano come 'tappi' vari oggetti: a
volte una zucca o un osso, altre volte dei pezzi di conchiglie, più
raramente dell'argento sbalzato». Evidentemente questi antichi chirurghi
si rendevano conto del pericolo di esporre all'aria le ferite aperte e per
questo motivo erano soliti applicare delle bende; diversi crani trapanati
sono stati infatti ritrovati accuratamente bendati.
Ma la trapanazione era solo una delle attività degli antichi chirurghi
peruviani. Essi aprivano i seni venosi infiammati, asportavano i tumori e
amputavano arti sostituendoli con protesi. Nell'antico Perù l'amputazione
veniva effettuata non solo come procedimento chirurgico, ma anche come
intervento punitivo o rituale.
Nonostante questi progressi, la medicina peruviana rimase strettamente
legata alle pratiche religiose. Le malattie erano ritenute principalmente
una conseguenza del peccato, per cui la confessione, fatta in presenza di
una speciale categoria di sacerdoti, e i riti di purificazione erano
importanti forme di cura. Le malattie inoltre erano diagnosticate e curate
attraverso uno strano 'rito di trasferimento'. Ecco, afferma Ackerknecht,
come la cavia, originaria del Perù, ha iniziato la sua triste carriera in
ambito medico. Le cavie venivano dapprima tenute sulla parte malata del
paziente, allo scopo di assorbirne la causa, poi venivano fatte a pezzi e
studiate per ricavarne la diagnosi. Il sacrificio agli dèi, compresi i
sacrifici umani, erano un'altra forma di cura.
Il graduale passaggio da una spiegazione sovrannaturale delle patologie ad
una spiegazione naturale si può individuare nella credenza dei Peruviani
che i venti e le stagioni fossero la causa di certe malattie. In origine,
si pensava che i venti portatori di malattie fossero in realtà degli
spiriti o delle divinità, ma a poco a poco si iniziò a considerarli come
delle normali forze della Natura. Questo concetto ebbe una notevole
influenza sulla medicina preventiva peruviana, che rappresenta
probabilmente il secondo grande merito dell'antico Perù.
Alcuni procedimenti, in realtà, avevano la caratteristica di riti
magico-religiosi; ma i rifornimenti di acqua pulita, un buon sistema
fognario e la regolamentazione legale dell'alimentazione, della vita
sessuale e delle ore lavorative si collocavano ben al di fuori della sfera
religiosa. Come in Europa, il clistere veniva tradizionalmente impiegato a
scopo terapeutico.
Una pratica originale della medicina peruviana, finalizzata alla ricerca
del benessere generale della popolazione, era l'attenta considerazione
delle origini geografiche delle truppe e di tutti coloro che dovevano
partecipare alle spedizioni in territori e climi sia di montagna che di
pianura. In un paese con altitudini molto diverse, non era possibile
sostenere cambiamenti repentini delle condizioni ambientali, senza rischi
per la salute.
I guaritori Inca del Perù venivano nutriti con i prodotti provenienti dai
campi dell'Imperatore, detti anche 'campi del sole', mentre ai malati e
agli storpi venivano dati da mangiare i frutti della 'terra della tribù'.
Nel tentativo di scoraggiare una possibile specializzazione, seppure
rudimentale, la legge degli Inca esigeva che i chirurghi, i salassatori e
gli altri guaritori dovessero essere anche dei competenti erboristi.
Uno dei maggiori contributi dati dal Perù alla civiltà è la sua
straordinaria raccolta di piante medicinali, molte delle quali erano
sconosciute in Europa prima delle spedizioni spagnole del XVI secolo. Tra
le più note ricordiamo le foglie di coca, da cui si ricava la cocaina, e
la corteccia di china, da cui si estrae il chinino. E' dimostrato che tali
piante erano conosciute e utilizzate già parecchi secoli prima che gli
Europei giungessero nel Nuovo Mondo. Oltre alle piante officinali, i
Peruviani usavano anche dei rimedi derivati da fonti animali e minerali.
Senza dubbio, la medicina dell'antico Perù può essere giustamente
paragonata alle pratiche mediche delle antiche civiltà del Vecchio Mondo,
come quella egizia o quella mesopotamica.
NOTE
1 -
Il primo venne rinvenuto
in Francia nel 1873 dall'archeologo P. B. Prunieres (Sur les cranes
artificiellement perforés et les rondelles cràniennes à Pépoque des
dolmens, «Bulletin ade la Société d'Anthropologie de Paris», 9,1874) ed
era certamente del Neolitico Superiore. Sensibilizzati all'argomento,
archeologi e paleontologi ne rinvennero altri 200 nelle caverne francesi,
poi in tutto il mondo. Nel 1928 ne fu trovato uno anche nella valle del
Liri, tra Casamari e Monte San Giovanni Campano, assieme ad armi
neolitiche, ceramiche, oggetti di bronzo. Poi si aggiunsero i crani
peruviani, tutti più recenti Su 46 di questi, raccolti dal Museo Pigorini
di Roma, 14 presentavano fori rotondi o quadrati.
2 - J.
C. Tello Rojas, Craniectomí a prehistórica entre los Yauyos, Lima 1906.
3 -
Nelle grotte artificiali
della valle del Petit-Morin, nella Marna, sono state rinvenute 'rondelle
craniche', frammenti di teca cranica con un foro rotondo al centro;
infine, associati a dolmen nella regione a nord di Parigi si sono trovati
crani femminili con il 'T sincipitale', una traccia profonda a forma di T,
forse ottenuta con un ferro rovente, che segue la sutura tra i parietali e
tra questi e l'occipite.
4 -
I Paracas del Perù
usavano come arma, non più di 2000 anni fa, una grossa stella di pietra
con un buco al centro, che veniva infilata in un bastone e che poteva
provocare gravi ferite alla testa.
5 -
Oltre che da Prunieres,
molti crani perforati furono rinvenuti in Francia da P. Broca (Sur des
sujets soumis à la tre'panation chirurgicale néolithique, «Bulletin de la
Société d'Anthropologie de Paris», 11,1876), che dimostrò in modo
inconfutabile che quelle aperture erano praticate con un raschietto di
pietra focaia e avevano spesso uno scopo terapeutico; in alcuni casi le
parti asportate erano sostituite con pezzi di osso, prelevati da altri
crani umani o da animali. Nella maggior parte di questi reperti si
osservano i segni di una avvenuta rigenerazione, i bordi lisci e smussati
stanno a dimostrare che il paziente era sopravvissuto alla prova e aveva
continuato a vivere per alcuni anni. In Perù fu trovato un cranio con non
meno di cinque fori, separati gli uni dagli altri. Su circa mille crani
peruviani, 19 furono trapanati (alcuni subirono due e uno tre operazioni);
in alcuni testi peruviani, l'apertura anziché ovale è quadrilatera e lo
strumento usato è il coltello a forma di T, detto 'turni', che l'Accademia
Peruviana di Chirurgia ha scelto per emblema. Pochi crani sono venuti alla
luce in Inghilterra; in uno di questi, dal momento che il bordo non
mostrava segni di rigenerazione, bisognava supporre che l'operazione
avesse provocato la morte del paziente. In un'isola della Nuova Guinea,
molti indigeni — si ritiene — si sottoposero a trapanazione del cranio in
gioventù per favorire la longevità e nel Daghestan (Mar Caspio) essa era
praticavata per tutte le ferite della testa ed era il feritore a dover
pagare il chirurgo.
6 -
M. W. Hilton-Simpson,
Arab Medicine and Surgery. A Study of the Healing Art in Algeria. London
1922.
7 -
E. Guiard, La tre'panation
crlinienne chez les néolithiques et chez les prirnitifi nzodernes, Paris
1930.
8 -
J Bird, Antiquity and
Migrations of the Early Inhabitants of Patagonia, «Geographical Review»,
XXVIII, 2, 1938.
9 -
A. Hrdlicka, Trepanation
among Prehistoric Peoples, especially in America, Ciba Symposia, 1, 6,
1939.
10 -
R. Carrión Cachot de
Girard, La religión en el antiguo Perù, norte y centro de la costa,
periodo post-clàsico, Lima 1959.
11 -
M. A. Muniz, W. J. McGee,
Primitive Trephening in Perù, «Report of the Bureau of Ethnology», vol.
16(1894-95), Washington 1897.
12 - E.
G. Wakefield, S.C. Dellinger, Possible Reasons for Trephening the Skull in
the Past, in Ciba Symposia, 1,6, 1939.
"Susruta, Chirurgo dell'Antica India" SEGUE
>>
|