I TEMPLI E IL CULTO DI
ASCLEPIO
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L'ILLUSTRAZIONE
Ogni notte, per quasi mille anni,
i pellegrini malati e afflitti si radunavano all'interno dei templi
greci di Asclepio, o nei vicini àbata, per partecipare al rito
chiamato 'incubazione'. Se erano fortunati, l'antico e benevolente
dio della medicina appariva loro in sogno, mentre si trovavano in
uno stato a metà tra il sonno e la veglia, li guariva o prescriveva
farmaci, diete e metodi di cura. Gli unici requisiti erano di essere
puliti e di 'avere pensieri puri'. A dimostrazione della propria
riconoscenza, coloro che ricevevano una grazia da Asclepio facevano
fare delle offerte votive (riproduzioni in terracotta o in pietra
delle parti del corpo malate che si supponeva fossero state
guarite), debitamente inscritte e appese ai muri del tempio. I
templi sorgevano in luoghi ameni, non diversamente dai centri
benessere o dai santuari di oggi.
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PREMESSA
«Cito,
tuto et jucunde»: rapidamente, sicuramente e piacevolmente (così doveva
avvenire la cura della malattia).
Asclepio,
chiamato Esculapio dai Latini, era il dio della medicina e della salute,
benché il suo ruolo divino non appaia attestato nelle fonti antiche. Nell'VIII
secolo, quando Omero scrisse l'Iliade, era un comune mortale, un re
che abitava a Trikka in Tessaglia e aveva due figli di nome Podalirio e
Macaone, che parteciparono come chirurghi alla campagna di Troia(1).
Il culto di Asclepio ebbe inizio a Epidauro, sostituendo quello di Apollo
e dell'eroe Maleata, oppure a Trikka. Quello che è certo è che conobbe una
popolarità enorme, in quanto il dio fu onorato con circa 400 santuari e
insieme a lui le figlie Igea, Panacea e Iaso. A Epidauro, centro del
culto, vi è ancor oggi un complesso enorme di ruderi(2),
perché al tempio primitivo Greci e Romani aggiunsero successivamente un
teatro, uno stadio, una palestra, altri piccoli templi, una biblioteca, un
albergo e delle terme. Si provvedeva, infatti, anche al divertimento,
tanto che l'anfiteatro di Epidauro, con una capacità di circa 20.000
persone, era uno dei più grandiosi di tutta la Grecia
Le grandi feste in onore di Asclepio si tenevano ogni quattro anni, nove
giorni dopo i Giochi Istmici, con gare atletiche e rappresentazioni
drammatiche, e un'intera città viveva attorno alle guarigioni miracolose e
alle speranze dei malati di ritrovare con la devozione la perduta salute
(oggi nell'area delle rovine i due edifici principali sono il tempio vero
e proprio — di cui restano solo le fondazioni — e la Thòlos(3),
piccola costruzione rotonda, probabilmente a colonne). Un grande portico
chiudeva da un lato l'area del tempio e l'Àbaton, il luogo in cui
avveniva, qualche volta, la guarigione. Il malato, dopo una rigorosa
selezione, che scartava i contagiosi e forse le forme sicuramente
inguaribili, veniva avviato al bagno; doveva purificarsi, portare offerte
al tempio, sottoporsi a una preparazione dietetica e infine veniva ammesso
al rito dell'incubazione, dopo aver trascorso la notte sotto il porticato,
sdraiato su una pelle di capra in attesa dell'apparizione (secondo quelle
dubbie testimonianze che sono gli ex voto, i malati che accorrevano
da tutta la Grecia ripartivano da Epidauro risanati almeno in gran parte(4)).
La medicina dei templi, col passare dei secoli, subì delle trasformazioni(5):
in qualche santuario le terme all'uso romano, divenute anche luoghi di
piacere e sedi di rappresentazioni, tolsero ogni carattere medico e sacro
all'istituzione; in altri ci si orientò verso la medicina empirica e il
tempio andò assomigliando sempre più a un ospedale; in altri ancora si
restò legati alle pratiche più strettamente religiose.
Il culto di Asclepio fu esportato a Roma all'inizio del III secolo a.C.,
su richiesta degli stessi Romani. I suoi templi erano luoghi di asilo per
gli schiavi fuggiaschi e per i soldati che volevano sfuggire alla cattura;
egli era visto come una sorta di 'medico di famiglia' soprannaturale e lo
stretto rapporto con i fedeli e la sua benevolenza, non comuni per le
divinità antiche, spiegherebbero la sopravvivenza del culto fino ai primi
secoli dell'era cristiana. I Padri della Chiesa consideravano Asclepio il
principale 'concorrente' di Gesù Cristo come guaritore.
L'epoca gloriosa della cultura greca stava per tramontare, e la civiltà
che aveva prodotto tanti pensatori, artisti e uomini di scienza stava per
cedere il suo predominio ma, per quanto ormai in declino, era ben lontana
dall'estinguersi. La sua missione non era ancora compiuta, giacché essa
era destinata a esercitare un'influenza di vasta portata e, sotto alcuni
aspetti, doveva raggiungere ulteriori traguardi prima ad Alessandria(6)
e poi a Roma.
In quegli anni in tutte le città greche, non tanto in quelle della
madrepatria quanto in quelle delle colonie ioniche, era fiorita la
sofia, la scienza; a Mileto, sulle coste dell'Asia Minore, Talete(7)
— è il nome con cui si aprono tutte le storie della filosofia — scopre che
l'acqua è la sostanza prima, il principio di tutte le cose.
Sempre a Mileto, Anassimandro (610-547 a.C.), allievo di Talete, si
distacca dal maestro e afferma che la sostanza prima non è l'acqua, ma
qualcosa di eterno, infinito e indistruttibile, da cui tutto deriva e a
cui tutto ritorna (il caldo e il freddo sono i principi di questo continuo
fluire), mentre Anassimene, altro filosofo milesio, postula come sostanza
prima l'aria. Nessuno di questi tre sapienti può dirsi medico, ma le
teorie fisiche provenienti da Mileto influenzeranno in seguito, attraverso
la scuola di Crotone, anche la medicina.
È infatti a Crotone che verso il 535 a.C. si stabilisce Pitagora di Samo,
il quale, in opposizione alla fisica della Scuola Ionica, insegna che gli
elementi sono quattro — terra, aria, fuoco, acqua — e che a essi
corrispondono quattro stati: secco, freddo, caldo, umido; che quattro sono
gli umori dell'uomo: il sangue, che è caldo e umido, la bile gialla, che è
calda e secca, la bile nera, che è fredda e secca, il flegma, che è freddo
e umido(8).
Forse la teoria degli umori non è di Pitagora, ma della sua Scuola; a lui,
che era essenzialmente un matematico, spetterebbe la paternità della
dottrina dei giorni critici, accettata anche da Ippocrate. La concezione
umorale, anche se non esprimeva idee complesse come quella dell'equilibrio
degli umori diversi, sarebbe nata in Egitto; del resto Pitagora, come
molti greci illustri, come più tardi lo stesso Ippocrate, avrebbe studiato
in Egitto, probabilmente a Sais (ed è forse legata a nozioni di
provenienza egizia la teoria di Alcmeone, medico di Crotone nato verso il
540 a.C., sulle sensazioni che sarebbero raccolte e 'digerite' dal
cervello).
Tra i primi Greci venuti a Roma, uno merita di essere ricordato:
Asclepiade, il 'principe dei medici', come fu chiamato (per quanto il
titolo gli sia conteso da Avicenna), nato a Prusa, in Bitinia, sulle
sponde meridionali del Mar Nero nel 124 a.C. Educato ad Atene e ad
Alessandria, nel 91 a.C. si stabilì a Roma, dove fondò una scuola metodica
e si sforzò di applicare alla medicina le teorie atomiste di Democrito e
di Epicuro. Il suo acume e la sua forte personalità ne fecero ben presto
il 'medico alla moda'(9),
amico di Cicerone e di Marco Antonio. Chiamato 'l'Ippocrate delle malattie
croniche', Asclepiade non seguiva le regole del padre della medicina, anzi
negava il potere risanatore della natura; egli credeva nell'intervento
attivo del medico, pur preferendo la terapia dietetica (compresa qualche
dose di vino) e fisica (bagni, massaggi, ecc.) alle cure a base di
farmaci. Nel trattamento delle malattie croniche, ricorreva alla astinenza
e al salasso e a una dieta ricca di sali (grani di senape, crescione,
decotto di timo e di origano, issopo), per migliorare la qualità degli
umori; questo metodo era chiamato metasincresi.
Il potere guaritore della mano tramite il tocco o l'imposizione trae da
qui una lunga tradizione, giunta fino a noi. Nello stesso Egitto antichi
bassorilievi raffigurano terapeuti che impongono la mano sul ventre di
malati. Nei templi di Atene si trovano raffigurazioni di Asclepio in
analogo atteggiamento. Il padre della medicina Ippocrate afferma che
«medici esperti ritengono che il calore che si irradia dalla mano,
applicato ai malati, sia altamente salutare». Anche il Giobbe della Bibbia
dice: «Il Signore me le ha date, il Signore me le può togliere, il Signore
sia benedetto per queste mie mani che guariscono».
Il giusquiamo o 'fava di porco' (dal greco us, «porco», e kusmos, «fava»)
entrava come sostanza principale nelle pozioni usate da Asclepiade a scopo
soporifero e analgesico. È una pianta solanacea il cui impiego in terapia
è legato agli alcaloidi (atropina, iosciamina, scopolamina) di cui sono
ricche soprattutto le foglie. Attivo sulla corteccia cerebrale, che
deprime inducendo il sonno, e sul sistema neurovegetativo, in cui deprime
il parasimpatico elidendo gli spasmi, attraversò la storia della
farmacologia come ipnotico o allucinogeno, a seconda della dose. Anche lo
stramonio è una solanacea dalle foglie ricche di alcaloidi (atropina e
iosciamina) deprimenti l'attività corticale del cervello e il tono
parasimpatico. Anch'esso fu nei secoli un punto di riferimento della
farmacologia, come veleno paralizzante ad alte dosi e a giuste dosi come
farmaco antiasmatico.
Asclepiade introdusse il principio che la malattia debba essere curata in
modo rapido, sicuro e piacevole («Cito, tuto et jucunde»), e riteneva che
le malattie dipendessero dalle condizioni dei 'pori', che permeavano tutti
i tessuti del corpo: il male derivava dall'essere essi troppo contratti o
troppo rilassati, per cui la salute era regolata dall'equilibrio fra
tensione e rilassamento.
Questa teoria, nota come 'metodismo', fu poi elaborata da Temisone (123-43
a.C.), discepolo di Asclepiade, che esercitò in Roma durante l'impero di
Augusto, e influenzò in tempi assai più recenti le idee avanzate da
Broussais (teoria dell'irritazione) e da Brown (teoria degli stati stenici
e astenici), idee di cui troviamo le tracce anche in alcune correnti della
medicina contemporanea.
Si dice che Asclepiade sia stato il primo a parlare di tracheotomia,
benché non si sappia se l'abbia mai eseguita. Le sue opere autografe sono
andate in gran parte perdute, ma se ne ritrovano brani nelle citazioni di
altri scrittori.
In conclusione, si può affermare che se Roma, prescindendo dall'influenza
greca, ha contribuito ben poco al progresso della medicina scientifica,
essa è stata tuttavia l'antesignana dell'assistenza sanitaria e
dell'igiene pubblica, e anzi ne curò talmente alcuni aspetti, da
raggiungere una perfezione mai più eguagliata. La decadenza del potente
Impero Romano ebbe molte e diverse cause, che non mancarono di stimolare
la mente di numerosi storici. Senza dubbio, il suo crollo fu provocato
dalla corruzione morale e politica dei cittadini, dalla rovina
dell'agricoltura, dall'eccessiva pressione fiscale. Ma a esso contribuì
anche un altro fattore, di peculiare interesse per lo storico della
medicina: la malaria, che, in forma violentissima, distrusse migliaia e
migliaia di vite, riducendo nei superstiti il vigore fisico e morale.
Tesi, questa, suffragata da molte testimonianze autorevoli.
LA
SCHEDA
Come
presso tutti i popoli dell'antichità, anche in Grecia le origini della
medicina risalgono a un periodo che precede la storia documentata. La
medicina greca più antica si presenta come una curiosa mescolanza di
mitologia e di razionalità: infatti, pur dichiarando obbedienza agli dèi
in auge nel loro tempo, sembra che i medici greci fossero in realtà
relativamente liberi da quei condizionamenti religiosi che in altri paesi
influenzavano il pensiero dei loro colleghi. Nei confronti della pratica
medica avevano un approccio alquanto razionale e naturalistico che, anche
se non sempre corretto, aveva per lo meno una qualche base scientifica.
Tuttavia, accanto alla medicina scientifica, in Grecia si sviluppò un
culto medico religioso destinato a diventare nel suo genere il più famoso
della storia: il culto di Asclepio. In un periodo ancora più antico,
alcuni gruppi di medici greci si attribuirono l'appellativo di Asclepiadi
('figli di' o 'della famiglia di' Asclepio).
La prima menzione di Asclepio nella letteratura greca si trova nel poema
omerico Iliade, dove egli è descritto come membro dell'antica
aristocrazia, capo tribale, medico e padre di medici. A quell'epoca egli
era considerato un uomo mortale, abile allievo di Chirone (medico della
Tessaglia, le cui doti equestri gli avevano attribuito la reputazione di
centauro, un incrocio tra un uomo e un cavallo). Secondo Omero, i figli di
Asclepio, Macaone e Podalirio, presero parte allo storico assedio della
città di Troia (nel 1180 a.C. circa) come capi militari e come medici. Non
è chiaro se fossero veramente figli di Asclepio o fossero invece chiamati
'figli' in quanto suoi seguaci. Sebbene non sia mai stato provato, alcuni
antichi studiosi credevano che Asclepio fosse morto nel 1237 a.C.
Nella letteratura antica, in particolare quella di Omero, si attribuiscono
ad Asclepio una conoscenza e un'abilità in medicina superiori a quelle di
qualsiasi altro uomo. Sebbene egli non sia il fondatore della medicina
greca, come a volte è stato erroneamente affermato, sembra sia comunque da
attribuire a lui il merito di avervi apportato dei considerevoli
miglioramenti.
Nel corso dei secoli, attorno al grande guaritore si formò un alone
leggendario ed egli cominciò ad essere considerato un semidio, figlio di
Apollo e di una donna mortale. Secondo la leggenda, Apollo, antico dio
della medicina, lo salvò dal grembo della madre uccisa e lo consegnò a
Chirone, il quale lo allevò e lo educò. Successivamente Zeus, il padre
degli dèi, lo avrebbe ucciso con un fulmine perché aveva osato resuscitare
i morti, sfidando una prerogativa degli dèi.
In Grecia, la fama di Asclepio continuò a crescere nei secoli e sembra
che, intorno al 525 a.C., l'opinione popolare l'abbia innalzato al rango
di vera e propria divinità. Si pensava che, dopo quella morte violenta,
Zeus, assalito dal rimorso, avesse concesso ad Asclepio l'immortalità e
che egli fosse succeduto al padre come dio della medicina. La leggenda fu
quindi adattata a questo nuovo ruolo e verso il 450 a.C. ad Asclepio
veniva attribuita una grande famiglia mitologica che comprendeva, oltre ai
due figli Macaone e Podalirio, anche un terzo, Telesforo, e tre figlie,
Igeia, Panacea e Iaso, le quali simboleggiavano altri aspetti della
missione paterna.
Il culto di Asclepio si diffuse a poco a poco in tutta la Grecia, dove
sorsero più di 200 templi, o Asclepièia. Probabilmente l' Asclepièion di
Epidauro, nella Grecia centrale, fu costruito per primo o comunque doveva
essere il più importante. Altri templi di grande fama si trovavano a Coo,
a Tricca, a Pergamo, a Lebena, ad Aegae, a Corinto e ad Atene. Il culto fu
esportato a Roma nel 293 a.C. quando, su richiesta degli stessi Romani,
una missione proveniente da Epidauro risalì le acque del Tevere. Si dice
che un serpente sacro fosse sbucato fuori dalla nave e avesse nuotato fino
all'Isola Tiberina, dove poi venne costruito un tempio in onore di
Asclepio, che quindi finì per essere considerato il più importante dio
greco-romano della medicina, ruolo che restò suo fino al 500 d. C. circa.
Sembra che in Grecia i primi templi di Asclepio siano stati costruiti sul
modello di quelli dedicati al culto di altre divinità. In seguito
divennero delle istituzioni più elaborate, di solito situate, non
diversamente dagli odierni centri di benessere, in una posizione
favorevole, con aria buona, boschi e fonti d'acqua pura o minerale; più
raramente venivano costruiti nelle grandi città. Gli Asclepièia erano
costituiti da un gruppo di edifici disposti in modo irregolare, con
cortili, boschi e terme e, a differenza delle moderne case di cura,
avevano funzioni più vaste. Al centro, naturalmente, sorgeva il tempio di
Asclepio, abbellito da magnifiche opere d'arte e altri tesori, molti dei
quali in oro massiccio. Nelle vicinanze sorgeva un secondo importante
edificio, l'àbaton, dove i pellegrini si ritiravano per dormire e per
vedere in sogno il dio. Nello stesso recinto, inoltre, vi erano spesso
alcuni templi più piccoli, dedicati ad altre divinità. Di solito erano
inclusi nel complesso un pozzo e un boschetto sacri; potevano anche
esserci ostelli, terme e palestre. A Epidauro disponevano di un magnifico
anfiteatro all'aperto e di uno stadio in cui si svolgevano periodicamente
dei giochi. Un folto gruppo di sacerdoti, assistenti, coristi, musici e
altro personale svolgeva la propria attività nell'Asclepièion, mentre
alcuni animali considerati sacri, soprattutto cani e serpenti, vagavano
liberi. Numerose tavolette e colonne di pietra, su cui erano incisi
racconti di cure miracolose, erano sparse un po' dovunque, e sui muri
erano appese molte offerte votive in pietra, terracotta o altro materiale,
alcune delle quali rendevano omaggio ad Asclepio e alla sua mitica
famiglia. Più spesso, questi oggetti votivi riproducevano in rilievo le
parti del corpo del paziente che erano state guarite, con le relative
frasi e preghiere di ringraziamento. Ma le tavolette incise parlano anche
di pie donazioni di denaro: infatti diverse statue, altari, panchine e
altre strutture venivano donate in segno di riconoscenza dai pazienti più
ricchi a uso e conforto dei pellegrini, i quali erano spesso parecchie
centinaia. Tra i visitatori degli Asclepièia vi erano naturalmente gli
ammalati, con patologie di varia gravità, ma un numero forse maggiore di
persone sane vi si recava per adorare il dio, per assicurarsi la buona
salute e probabilmente anche per trascorrere un periodo di vacanza,
proprio come avviene oggi nei centri di benessere. Sicuramente vi si
svolgevano anche giochi, rappresentazioni teatrali, festival, svaghi e
divertimenti di ogni genere; mentre le cerimonie di culto, i sermoni e i
canti aiutavano i pellegrini a porsi nello stato mentale più favorevole
per quanto avrebbero dovuto fare successivamente. Coloro che ne sentivano
il bisogno potevano entrare in qualsiasi momento nei templi a
pregare. Questo culto non era praticato solo dai poveri. Il grande Sofocle
scrisse un inno in onore di Asclepio, Socrate cita Asclepio nel discorso
pronunciato prima di morire, e numerosi re e imperatori, tra cui
Alessandro il Grande, Marco Aurelio e Giuliano, erano devoti del dio
guaritore. In armonia con lo spirito del loro dio, sembra che i custodi
degli Asclepièia non avessero come scopo principale il profitto, e i
poveri, gli indigenti, i ricchi e i potenti venivano accolti con la stessa
affabilità; anzi, i poveri e gli indigenti ricevevano probabilmente dai
templi anche un aiuto finanziario. A differenza della maggior parte delle
divinità greche, Asclepio era considerato un dio gentile e comprensivo, un
vero medico, a cui poteva rivolgersi chiunque fosse sofferente o nel
bisogno. Coloro che avevano sufficienti mezzi economici erano tenuti a
versare un contributo, e chi mentiva veniva punito; ma a nessuna persona
meritevole veniva negato l'accesso, l'unico requisito essendo: «puro deve
essere colui che entra nel fragrante tempio, la purezza significa avere in
mente solo pensieri puri». Soltanto a chi stava per morire e alle donne
partorienti veniva negato l'accesso, perché né la nascita né la morte
potevano avvenire all'interno del recinto del tempio. Coloro che vi si
recavano per chiedere l'aiuto del dio dovevano prima lavarsi e offrire
sacrifici (dolci o animali), ma oltre a ciò non viene mai menzionata
nessun'altra richiesta fatta ai pellegrini, neppure una somma da pagare
all'ingresso. La sera i pazienti si recavano in luoghi dove aspettavano
l'apparizione del dio. Solitamente si trattava degli àbata, sebbene in
alcuni Asclepièia ai pazienti venisse permesso di dormire nei templi.
Vestiti con il loro normale abbigliamento, si sdraiavano sulla nuda terra
o su dei giacigli di paglia, mentre i fuochi che avevano illuminato
l'ambiente quando i pazienti vi si erano radunati, venivano spenti. Tale
pratica, chiamata 'incubazione', era un'abitudine consolidata. Il dio
appariva ai pellegrini nel sonno o in uno strano stato a metà tra il sonno
e la veglia. Si diceva che Asclepio apparisse in sogno così com'era
rappresentato nelle statue: un uomo con la barba, dal viso gentile e
sereno, oppure un giovane dall'aspetto bello e nobile. In mano aveva un
bastone di legno grezzo al quale era attorcigliato un serpente. Nulla di
tutto ciò poteva spaventare i pazienti e, se il dio non appariva la prima
notte, l'incubazione continuava la notte seguente e così via. Una volta
stabilito il contatto con il paziente, il dio poteva procedere
all'immediata guarigione della malattia per cui era stato chiamato, o
semplicemente indicare la cura da seguire.
Sebbene venissero attribuiti ad Asclepio parecchi miracoli, pare che essi
fossero relativi ai periodi più antichi; in tempi più recenti, invece,
prevaleva la seconda forma di cura. Sembra inoltre che ai pazienti
apparissero in sogno anche dei serpenti, i quali guarivano le ferite
leccandole.
Secondo le iscrizioni, il dio curava paralisi, epilessia, cecità,
idropisia, ferite, mal di testa, sterilità, vermi, tubercolosi, dispepsia,
gotta e parecchie altre patologie. Ma Asclepio non si limitava solo a
curare le malattie: si pensava infatti che mantenesse le persone in salute
e proteggesse le famiglie, inoltre i suoi templi erano luoghi di asilo per
gli schiavi fuggiaschi e per i soldati che volevano sottrarsi alla
cattura. Egli era visto come una sorta di medico di famiglia
soprannaturale e lo stretto rapporto con i fedeli e la sua benevolenza,
non condivisi dalle divinità antiche, spiegherebbero la sopravvivenza del
culto fino ai primi secoli dell'Era cristiana.
I primi Padri della Chiesa consideravano Asclepio il principale e più
temibile concorrente di Gesù Cristo. Sebbene attaccassero Asclepio con
astio e veemenza, erano costretti a riconoscere i molti punti in comune
tra l'antico dio e Gesù Cristo, al quale nei primi Vangeli si fa
riferimento come a colui che guarisce dalle malattie e compie miracoli.
Un dio così doveva essere molto popolare in una società tanto preoccupata
per la salute (ipocondriaca) quanto spaventata dalla morte, come quella
degli antichi Greci. Per quanto oggi possa apparire strano, sembra che gli
Asclepièia non conoscessero né la finzione, né la frode, né l'inganno, ma
solo un culto basato su una fede sincera, nella quale molti trovavano
sollievo. Sembra anche che in Grecia non ci fosse nessuna ostilità tra i
normali medici, che erano peraltro molto numerosi, e i sacerdoti di
Asclepio, i quali si occupavano soprattutto degli incurabili e dei poveri.
A seguito di questa usanza e dei limiti delle conoscenze scientifiche di
allora, indubbiamente un gran numero di malati si rivolgevano ad Asclepio
come ultima risorsa. E non sarebbe forse ragionevole pensare che tra di
essi vi fosse una certa percentuale sensibile ai condizionamenti
spirituali e psicosomatici a cui si veniva sottoposti nell' Asclepièion?
Non più considerato come una divinità, Asclepio gode ancora di molta fama
negli ambienti medici e molte associazioni portano il suo nome. La sua
verga con il serpente avvinghiato è ancora il simbolo della medicina,
impiegato e indossato in molte circostanze (questo simbolo, naturalmente,
non va confuso con il cosiddetto caduceo, associato originariamente al dio
Ermes). Il serpente, tuttavia, si ritrova nel folklore di parecchi popoli
antichi, compresi i Babilonesi e le tribù ebree.
NOTE
1- Nel
VII secolo Asclepio era già diventato un eroe, figlio di Apollo e di una
mortale, Coronide, figlia di Flegia; la ragazza aveva amato il dio ed era
rimasta incinta, ma, volubile, prima ancora di metter al mondo il
figlioletto, non aveva tardato a trovarsi uno sposo mortale. Furente,
Apollo uccide i due sposi, ma salva, traendolo dal grembo materno, suo
figlio Asclepio. Lo affida al centauro Ghiro- ne, che lo alleva, lo educa,
gli insegna l'arte del guarire; ma Asclepio sorpassa ben presto il maestro
e abusa della sua scienza, resuscitando un cadavere. Giove, non tollerando
che si violino le leggi del fato, scaglia una saetta e uccide il figlio di
Apollo.
Può sembrare strano che un uomo venale, Asclepio, così duramente punito da
Giove per aver resuscitato i morti in cambio di denaro, sia poi diventato
un dio. Alla fine del V secolo la punizione inflitta ad Asclepio non era
più attribuita all'avidità del medico, bensì alla gelosia di Plutone, cui
l'attività guaritrice spopolava il regno infernale; quindi il fulmine che
lo uccide serve ad accontentare Plutone, a ristabilire l'eterno fato dei
mortali, ma anche a chiamarlo sull'Olimpo tra gli dei, dove egli si
trovava certamente già nel V secolo, se le tracce del suo santuario più
celebre, quello di Epidauro, risalgono a quell'epoca. Cfr. Esiodo, III Ode
Pitica (465 a.C.).
2 -
Al tempo del massimo
splendore, nel primo e secondo secolo dopo Cristo, l'Asclepièion doveva
essere un complesso davvero imponente.
3 -
Quello che rimane di questo edificio è abbastanza strano: si tratta di un
basamento costituito da sei muri circolari concentrici; i tre più interni
sono interrotti da passaggi, in modo che i corridoi tra un muro e l'altro
comunichino tra loro. Ma i passaggi sono disposti in modo che per passare
da un corridoio all'altro bisogna percorrere un giro quasi completo.
Insomma un piccolo labirinto: ma quello che stupisce è che i tre muri
esterni non hanno passaggi, in modo che il labirinto è chiuso, senza
accessi dall'esterno. A che cosa serviva? Si pensa che quella specie di
sotterraneo (si trovava sotto il pavimento del tempio) costituisse la
fossa dei serpenti sacra al culto di Asclepio, quegli stessi che ancor
oggi, insieme alla verga del dio, costituiscono l'emblema della
professione medica.
4 -
Un archeologo greco, il
Cavvadias, già nel 1883 aveva dissotterrano delle stele contenenti elenchi
di guarigioni miracolose. Inoltre, nella prima saletta del museo di
Epidauro si trovano numerose iscrizioni col racconto di casi risolti
favorevolmente. «Mentre egli dormiva — racconta quella di Enippo, che da
sei anni aveva una punta di freccia conficcata in una guancia — il dio
gliela estrasse». Di questa iscrizione, che a prima vista racconta un vero
e proprio miracolo, esiste un'interpretazione più scientifica. Molto
semplice del resto: basta sostituire la parola 'dio' con quella 'sacerdoti'.
5 -
Secondo Polibio gli
Asclepiadi (nome che indica la casta dei medici che, detentori della
diretta tradizione del dio, praticavano l'arte medica nei santuari a lui
dedicati e si ritenevano tutti più meno direttamente discendenti dal dio
stesso), traditi da alcuni iniziati che avevano cominciato a praticare la
medicina per loro conto fuori dei templi, furono costretti ad aprire i
loro santuari al popolo; ciò non appare verosimile, in quanto le scuole
mediche non hanno origine dai templi e la medicina civile non ha che
scarsi legami con l'importante capitolo della storia della medicina
costituito dal culto di Asclepio.
6 - Che
ad Alessandria la medicina rimanesse in mani greche era cosa naturale; è
invece notevole il fatto che tutti i grandi medici dell'Impero Romano
furono greci e che la loro pratica e i loro precetti continuarono a
prevalere durante il periodo medioevale, finché il Rinascimento non portò
idee nuove e una scuola più illuminata.
7 -
Siamo nel VII secolo a.C.:
Talete diventerà celebre per aver predetto l'eclissi di sole del 585 a.C.,
in Egitto era ià iniziato il Basso Impero, a Sais regnava l'ultima
dinastia prima dell'invasione persiana.
8 -
Il sangue come principio
di vita è un'immagine immediata, evidente, facilmente accettabile; più
rara doveva essere l'osservazione della bile, di cui gli scienziati di
allora potevano veder le tracce solo nel vomito e nelle feci. Cosa
intendessero per fiegma è ignoto: questo umore bianco e freddo, la cui
esistenza era dedotta dalla secrezione nasale e forse dalla saliva, dal
sudore, aveva, come vedremo in Ippocrate, una origine e una funzione
troppo fantasiosa per corrispondere a qualcosa di reale; chi ne postulò
l'esistenza non aveva il minimo sospetto che vi fosse un sistema
linfatico. Va aggiunta una curiosità linguistica che complica il problema
e della quale si era accorto Galeno: il significato di questa parola greca
non corrisponde né alla derivazione né all'etimologia: deriva da phleghéin,
«bruciare», e quindi dovrebbe significare acecensio, «infiammazione»,
mentre viene usata per indicare qualcosa di freddo. Il concetto di flegma
non nasce a Crotone, ma più di mille anni prima la parola egizia setet,
che vi corrisponde, era stata scritta nel Papiro di Ebers.
9 -
Si racconta che un
giorno, passeggiando per le vie di Roma, Asclepiade incontrasse un
funerale; i portatori, deposta la salma per terra, si riposavano, quando
Asclepiade, passando vicino, notò segni di vita nel cadavere; convinse i
parenti a rimandare il funerale e a trasportare il corpo nella casa di un
vicino, dove, dopo qualche manipolazione — e con quale meraviglia degli
astanti! _ richiamò il morto in vita. La fama di questo fatto si sparse
rapidamente per Roma, e, come si può immaginare, procurò una quantità di
clienti ad Asclepiade, peraltro già noto in precedenza per la sua arte.
"Ippocrate, la Medicina diventa
Scienza" SEGUE
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