Visita la Lucania

Torre Molfese

le OPERE


<< INDIETRO

H  O  M  E

AVANTI >>


Descrizione della Terra di Santo Arcangelo
(da un manoscritto del XVII secolo)

ANTONIO MOLFESE
 

N O T E

1 - Quartieri di Sant'Arcangelo: San Giovanni. Santo Lonce, Serrone, Castello, Valle, Ginestrito, Mandaro (forse Mauro)

2 - Chiese e Cappelle esistenti: Chiesa del Convento. Chiesa delle Anime del Purgatorio (Sant'Anna), Nostra Signora della Provvidenza, Chiesa Madre (San Nicola). Cappella di Santa Maria delle Grazie. Esisteva inoltre una cappella extra tnoenia, come quella della Santa Croce in contrada Torre -- Mederico. Altre fonti indicano: Cappella di San Vito, Madonna del Pozzo. San Gaetano.

3 - Lamia: Copertura a volta assai ribassata nelle costruzioni rustiche dell'Italia meridionale realizzata in malta di pozzolana e pietrisco battuto, in cui è lasciata in gran parte scoperta la forma strutturale.

4 - Altari: nella Chiesa del Convento vi erano sei altari: partendo da destra entrando il primo dedicato a Sant'Antonio di Padova, il secondo della famiglia Molfese, dedicato a Santa Lucia, il terzo della famiglia Giocoli, dedicato alla Immacolata Concezione, continuando dalla parte opposta, l'altro altare era dedicato a Sant'Antonio Abate, l'altro a San Rocco. Nella navata contigua, vi erano tre altari: uno dedicato a San Francesco di Assisi, un altro a San Giuseppe e un altro a San Pasquale Bylon

5 - Università. Ogni comunità medievale del Mezzogiorno che dalla tradizione romana aveva conservato il generico momen iuris  di università (università civium). fin dalla metà del IX secolo era retta da magistrature locali. L'imperatore pure accettando il principio dell'elezione per il potere esecutivo delle comunità, distinto dal feudo e dallo Stato, lo vietò invece nei riguardi dei capi. Qualche università era governata da cittadini di nomina regia, cioè il Capitaneos. il Baiulus o lo iudex civitatis, tra l'altro ben delineati nel testo del giuramento di Tancredi del 1191. Comunque, a parte il rigore delle norme, le consuetudini locali godevano di una relativa autonomia; infatti oltre al riconoscimento del diritto a villani et ungari simpliciter di possedere, acquistare ed alienare beni immobili, si consentì solo successivamente al popolo di eleggere un rappresentante per le liti (actor o procurato,- poi sostituito dal sindicus), dei giurati che sorvegliavano il mercato, il catapano che vigilava sulla piazza. sull'assisa dei generi alimentari e sui pesi e misure, e funzionari per la riscossione delle imposte, chiamati tassatori e collettori. I giustizieri, i camerari. i baiuli ed i giudici potevano amministrare la giustizia. In età avevva il comune era ancora università; esso era retto da un Sindaco e da due o tre eletti, scelti ogni anno dal «parlamento», cioè l'assemblea di tutti i capifamiglia del paese. Il parlamento era chiamato ad esprimere parere sulla formazione del catasto, sull'imposizione dei tributi, sull'imposta dell'annona, nonché sulle decisioni relative alle liti da sostenere e sull'offerta dei donativi al Sovrano, al Feudatario. C'erano poi i giudici, i capitani per l'esercizio della giurisdizione, gli assessori, i segretari o mastrodatti ed altri ufficiali. A capo della università vi era il sindaco liberamente eletto tra i boni homines e i magnifici (titolo concesso ai cittadini illustri della terra); egli era coadiuvato nell'amministrazione della cosa pubblica dagli eletti officiali o assessori.

6 - Un palazzo di "buona fabbrica" era il Palazzo Molfese, il più antico del paese. Il feudatario, prima della costruzione dell'abitazione alla contrada "San Giovanni", abitava nel suddetto immobile che si estendeva dalla chiesa fino all'attuale Via Maggior De Rosa. Matrimoni, donazioni e spartizioni patrimoniali hanno smembrato la costruzione che nel 1500 era abitata, come abbiamo detto, dal feudatario. La famiglia Molfese abitava invece in un'altra casa di proprietà poi passata alla famiglia Giocoli; questa notizia è avvalorata da un mattone cotto inciso rinvenuto durante un restauro.
Vita rurale. La principale coltivazione erano i cereali e per un certo verso anche la vite. Durante il tempo della mietitura non si trattavano cause civili per non distogliere i contadini dal lavoro della raccolta. La concimazione dei campi era fatta col farvi stazionare durante la notte branchi di pecore o altri animali. Ogni colono annualmente era tenuto a pagare un tomolo di grano, uno di orzo ed un carlino per ogni decima, oltre a lavorare un giorno a settimana nelle terre feudali. La decima era rappresentata dalla decima parte del raccolto del prodotto netto della terra e dei redditi di altre attività che dovevano essere versate al feudatario.

8 - Le vigne e le qualità di uva: malvagia (malvasia), moscatello, brunisco, sanguinella, vajano, sorbetto, zibibbo, zirica, aglianico, guarnagio antico, canajola.

9 - Fontane:. Nel territorio di Sant'Arcangelo (archivio Molfese) vi erano nel 1500 fontane e pozzi al servizio della comunità: la fontana della Vena Cupa; la fontana del Cannone, distante I miglio dal paese; la fontana di San Giovanni, distante 1/3 di miglio; la fontana di Gavazzo e la fontana di Mederico.

10 - Cisterne: Nei paesi (centri abitati) il problema dell'approvvigionamento idrico era in parte risolto, specie in pochi edifici ed in alcune famiglie benestanti, con cisterne in mattoni che raccoglievano acqua piovana: A S. Arcangelo, nell'anno 1670 (archivio Colonna- archivio Molfese), vi erano quattro cisterne nel paese, una al Convento dei Padri Minori Osservanti, una al Serrone, una nel Palazzo della Corte ed una al Rione Castello in casa di Diego Molfese.. Questa ultima, secondo quanto stabilito da un'ordinanza del sindaco, è stata riempita e murata nell'anno 1962. L'acqua per la popolazione era trasportata in recipienti (barili) ) a dorso d'asino o sulla testa delle donne e serviva ad approvvigionare le case. Si usavano vasi di terracotta chiusi (gummole) e recipienti svasati di creta (rizzole), posti alle finestre per tenere fresca l'acqua, e galette di legno (brocche) per servire l'acqua a tavola.

11 - Dottor Diego Molfese: di condizione Dottore in Utroque e proprietario terriero; contribuì ad abbellire, tra l'altro, la Chiesa del Convento, con dipinti ad olio e con un altare dedicato a Santa Lucia, ai cui piedi vi è una lapide a ricordo dei defunti della sua famiglia colà sepolti. Abitava in una casa palatiata al Rione Castello, la sola fornita di cisterna, alimentata con acqua piovana. Tra le numerose proprietà vi era una monumentale cantina sita in via dei Seggi, dove pose una lapide a ricordo e che si trascrive "Didacus Melfesius posuit Anno Domini 1632".

12 Fiere. Istituzioni molto remote, particolarmente rispondenti alle esigenze avvertite in tempi di difficili comunicazioni, le fiere miravano a favorire il commercio periodico e gli scambi a distanza; sorte nei luoghi di naturale incontro di vie commerciali, le fiere ottennero ben presto, grazie alla loro insostituibile funzione, pratico riconoscimento e protezione dalle autorità costituite. I luoghi delle "fiere" erano generalmente pianori di collina, gli estuari delle fiumare, le rive del mare, le periferie dei centri urbani di una certa entità.
Le fiere, che andavano da marzo a giugno, erano preparatorie alla cura dei campi ed alla mietitura, per cui si commerciavano attrezzi e utensili per questi lavori, mentre gli animali commerciati in questa epoca erano per lo più i soggetti giovani. allievi (agnelli, capretti, torelli), che erano stati allevati durante l'inverno e venivano venduti, così si poteva iniziare a mungere e destinare il latte alla produzione dei formaggi. Dopo una pausa che andava fino alla metà - fine di agosto. periodo di intenso lavoro nei campi, si riprendeva con le fiere nelle quali si vendeva il prodotto ricavato nell'anno agrario; queste erano quelle più ricche specie per le merci offerte. Per quanto riguarda gli animali si vendevano i soggetti vecchi e malandati e si praticava la rimonta, nel senso che, eliminando i soggetti anziani, si sostituivano con animali giovani scelti. Le fiere in pratica dalla fine di agosto - settembre si protraevano fino alla prima quindicina di dicembre. epoca in cui si commerciavano attrezzi ed utensili necessari per il lavoro dei campi (aratura, semina), e per quanto riguarda gli animali si vendevano gli allievi nati precoci e gli animali attempati, per il quali affrontare ancora un inverno poteva diventare problematico.
I "ferianti" dovevano essere muniti di una "fede" che attestava la legittimità del possesso di ogni cosa trasportata o esposta in vendita e specie degli animali condotti alla fiera. Veniva incisa su lastre di rame vergine, recanti lo stemma del comune o del barone o della città, con spazi vuoti per aggiungervi i nomi delle persone e la descrizione c quantità del bestiame (qualcosa come gli attuali certificati dell'anagrafe bestiame).
Riportiamo (mesto documento che ci sembra chiarisca le difficoltà che incontravano i ferianti a spostarsi all'epoca:

13 - Fuochi. Alfonso I d'Aragona (1442), al principio del suo regno, fece una profonda riforma tributaria: ogni famiglia, ed ogni fuoco, avrebbe dovuto pagare una somma di 10 carlini annui (cioè un ducato) e il fisco avrebbe fornito loro un tomolo di sale. Tale imposta per una parte costituiva il prezzo del sale, il resto era una vera e propria tassa focolare. Nell'anno 1449, il tributo salì a 15 carlini e grana 2; fu denominato funzione fiscale e da tale imposizione nacque la numerazione dei fuochi, che avrebbe dovuto rinnovarsi ogni 3 anni. Per diminuire le spese che sosteneva l'università per la rilevazione di questi fuochi, si portò da 3 a 15 anni il termine in cui dovevano eseguirsi le numerazioni. Per aumentare le entrate si ricorse alle collette, in occasione di matrimoni reali, o ad altre straordinarie imposizioni; in altri casi di necessità si usò e abusò di una diversa forma di tributo: i donativi. cioè contribuzioni che venivano stabilite nelle pubbliche assemblee. Il governo, quindi. impose le tasse del focatico da esigersi da ciascun comune, il quale si assunse la responsabilità dell'esazione ripartendola fra i possessori di beni situati nel proprio territorio.

14 - Strada per Napoli: "...da questa Citt... di Napoli a miglia 145, passando per la Citt... di Salerno, Eboli, Ponte del Fiume Selo, Duchessa, Zuppino, Auletta. Polla, la Padula, Montagna di Montesano, Sarcuni, Spinoso, lo pietto dello Cavaliero, per le Moline d'Arimieto, per sotto Missaniello dove si guazza il Fiume Agri, e si giunge in detta Terra di Santo Arcangelo, per il quale Camino sino ad Eboli si può andare in carozza, e poi ... cavallo, o in lettica, e d'inverno le dette strade sono molti 'rugose, e quasi impraticabili."

15 - Chianca: Locale dove avveniva la macellazione di animali e prendeva il nome dalla lastra di pietra dura usata sia per macellarli che per esporre la merce. Era ammessa la macellazione anche di bestie infette. malate o già morte, e l'operazione veniva compiuta fuori la porta del locale. Le carni provenienti da questi animali erano vendute con libera contrattazione, ma era proibita la vendita a peso come la carne normale. Le teste degli animali era vendute a metà prezzo ed i piedi non venivano pesati.
Non esisteva la carta per avvolgere la carne, questa veniva infilzata in un ramo di ginestra e cosi portata a casa e si era soliti chiamare la carne il «fungo di ginestra» (aneddoto raccontatomi da Vincenzo Armentano, poeta dialettale di S. Arcangelo).
Oltre che sulla esattezza del peso, il controllo era esercitato anche sulla provenienza delle carni. Le misure usate in quel tempo erano: il cantaro = 100 rotoli, pari a Kg 89,09; il rotolo = 0,89 kg. La condotta fraudolenta dei macellai, come di buona parte dei commercianti di allora, convinse i responsabili e gli amministratori del comune ad emettere ordini tassativi sulla conduzione del macello e sulla vendita delle carni. I macellai poi godevano di particolari agevolazioni circa le imposte sugli animali da macello, pertanto erano tenuti a denunciarne il numero.

16 - Sindaco: Il sindaco, durante il dominio svevo, rappresentava il procuratore speciale degli interessi della comunità: «syndicus ad certa ipsius terra gerendia negotia», che poteva far valere anche direttamente davanti al sovrano. Era eletto liberamente, anche se poi la nomina richiedeva una convalida superiore. Spesso riscuoteva le gabelle che consegnava all'ufficiale regio incaricato e rappresentava la comunità in giudizio. I criteri per le elezioni erano vari, e tutti presupponevano idonee garanzie (plegiaria), come del resto era previsto per gli ufficiali con funzioni giurisdizionali.

17 - Elezione del sindaco: Questa era diretta dal locale feudatario che nominava il sindaco e gli eletti; il parlamento era presieduto dal capitano del popolo, non vi erano norme restrittive sui requisiti fisici e morali come invece esistevano per i baiuli o baglivi. Il sindaco riceveva una provvigione annua ed era uno solo, ma gli spagnoli spesso dividevano il paese in due frazioni favorendo l'elezione di due sindaci. uno dei nobili e uno del popolo. L'elezione avveniva alla fine di agosto, cosicché poteva iniziare l'anno civile che cominciava il primo settembre. Era annuale e si sceglievano 20-30 persone degne che a turno erano obbligate per sorteggio a fare il sindaco alternandosi. Il compenso annuo per il sindaco nell'anno 1697 era di 8 ducati.

18 - Eletti: Le prime informazioni sugli eletti risalgono al XIV secolo; essi assistevano il sindaco con il quale formavano un piccolo staff (magnifici de regimine o magnifici regimentari) nell'amministrazione dell'università e venivano scelti all'inizio dell'anno finanziario e amministrativo ( 1 settembre) dal parlamento per la durata in un anno «per turnum inter vives nobiles et alicuius qualitatis». In genere le loro funzioni erano limitate, in quanto i provvedimenti da essi proposti erano soggetti al controllo dell'assemblea, da cui in definitiva dipendeva la decisione finale. Nell'assumere l'incarico, gli eletti giuravano di esercitarlo con fedeltà e in conformità alle leggi; alla fine del mandato erano tenuti a renderne conto ai sindacatores, istituto di antica origine regia che si consolidò nel corso dei contrasti coi magistrati cittadini. Erano esclusi dalle elezioni i consanguinei di ufficiali regi (in tal caso l'elezione era nulla), i debitori, gli amministratori dei bilanci dell'università o chi con essa aveva una lite in corso. Coadiuvavano l'azione del sindaco gli eletti, scelti tra. la popolazione, che avevano la funzione di consiglieri. Senza mandato degli eletti i sindaci non potevano spendere più di 5 carlini e se l'università era in mora con i pagamenti fiscali, sindaco ed eletti potevano essere persino imprigionati. L'ufficio municipale. oltre che dal sindaco e dagli eletti (a volte assistiti da deputati), era composto da un segretario (cancellarius) e da un usciere (ordinarius servus curiae).

19 - Il sale era trasportato mediante navi, con carovane di cammelli o a dorso di muli attraverso i valichi appenninici ed il suo commercio non è mai stato fermato da ostacoli naturali. Il sale non è solo all'origine della civiltà, ma anche dei traffici e delle fortune commerciali; è un bene indispensabile per gli uomini e per le bestie e serve per salare le carni e il pesce.

20 - Medico: La salute pubblica e privata era curata da medici fisici, medici chirurgici, da farmacisti e speziali. da barbieri e da erbari (attuale erborista). L'abilitazione ad esercitare la professione si otteneva dopo aver superato un esame molto modesto, benché le «Costituzioni di Federico II» esigessero che il medico avesse studiato e desse prova di conoscere di grammatica, filosofia e medicina. Vi erano i medici fisici che avevano facoltà eccezionali e maggiori prerogative rispetto ai medici chirurgici. Un Bando Protomedicale del 21 febbraio 1563 stabiliva che essi avevano licenza di «medicare piaghe, analizzare urine, ordinare sciroppi, pillole, rimedi e medicine in genere ed altre cose spettanti e pertinenti ai dottori di fisica» e potevano anche ordinare salassi (che poi il barbiere eseguiva). Il medico chirurgo, secondo un bando del 10 novembre 1573, poteva esercitare l'arte della chirurgia medicando soltanto ferite del capo con lesioni, e ferite di petto e del ventre. In senso lato poteva medicare in tota chirurgia et artis barbetonsoris pro necessaria. La sua attività si riduceva ad interventi specialistici che di volta in volta venivano autorizzati. Il medico fisico cavalcava una mula, durante il giro di visite, e se questa si presentava magra o grassa dalla sua forma si giudicava del medico, del cavaliere e quindi della bravura del dottore. Egli portava un bastone con pomo di argento e fiocco di seta. tabacchiera d'argento e gualdrappa. Le sue ricette erano spedite al farmacista, presso cui il medico andava a riposare e a conversare. Spettava al farmacista stabilire il prezzo da pagare per il farmaco (erano prezzi esorbitanti), dal momento che doveva riprendere il capitale impiegato, fare i suoi guadagni e dare una percentuale al medico per la visita effettuata. Nei primi del secolo XVII la visita del medico era di tari due (centesimi 85) e di un tari per ogni visita successiva. Oltre al medico ed al farmacista vi era il barbiere, che esercitava la bassa chirurgia. e l'erbario, che vendeva erbe e pozioni medicinali. Il barbiere eseguiva salassi, medicature più comuni, usava il cauterio (strumento chirurgico usato per vari scopi dopo essere stato reso incandescente), apriva ascessi, curava lussazioni, fratture e ferite in genere, e soprattutto le malattie veneree allora molto diffuse. I barbieri avevano innanzi alle loro botteghe vasi dipinti raffiguranti gli asparagi. la figura di uomo nudo dalle cui vene zampillava sangue e una sfilza di grossi molari: cure in generale (foglie delle piante di asparagi). salassi (uomo nudo) ed estirpazione di denti (sfilza di molari). I barbieri, specie quelli bravi, oltre che tastare il polso e toccare la lingua degli infermi, erano soliti ordinare e prescrivere medicine. Sapendo appena scrivere o non sapendolo affatto, dettavano la prescrizione e la inviavano al farmacista presso cui erano conosciuti, questi spediva senza indugio la ricetta. Gli erbari o erboristi vendevano erbe e pozioni medicinali. Il popolo, non potendosi permettere di pagare grosse somme al farmacista, ricorreva spesso a questi rimedi a prezzi più bassi.

21 - Difesa: La parola fu usata presso i Normanni per indicare estesi territori (fu usato in particolare per le selve reali) che venivano custoditi e difesi dall'accesso di persone estranee; alcune volte la difesa era chiusa per tutto l'anno, altre solo temporaneamente e costituiva la riserva per la raccolta delle ghiande e delle castagne; in altri casi ancora, era chiusa in tutti i tempi dell'anno per il pascolo salvo che per la raccolta della legna, necessaria al fuoco e per gli usi agrari dei cittadini. In un decreto del 3-12-1808, la parola difesa indicava un terreno sul quale erano impediti gli usi civici e rappresentava una restrizione del demanio e quindi una limitazione del soddisfacimento degli usi delle popolazioni. La custodia della difesa era affidata a guardiani. Tutto questo determinava che in quella parte di demanio, tramutato in difesa dal barone o dall'università, i cittadini non potevano più condurvi gli animali a pascere in virtù dell'uso civico di pascere. Sorgeva quindi la necessità che per usufruire del pascolo essi corrispondessero un pagamento (chiamato diritto di fido) in danaro al feudatario o alle università.

22 - Fida: Contratto in forza del quale il proprietario di boschi e di pascoli naturali concedeva ad altri, per un tempo determinato e per un canone convenuto, il diritto di pascolarvi il bestiame. Era così chiamato l'affitto di un pascolo per la durata di una stagione e veniva anche usato per indicare un terreno concesso o ottenuto in affitto. L'erba che veniva data in fida era chiamata statonica e vernotica; la statonica era l'erba che nasceva nel periodo estivo, quindi dopo il raccolto dei cereali (questa erba veniva pagata a basso prezzo). L'erba vernotica invece era quella che nasceva spontaneamente durante il periodo invernale (dal 29 settembre al 8 maggio), nei terreni che venivano lasciati a riposare e che producevano erba spontanea il cui costo era maggiore. Per allevare buone razze di animali e per trarre profitto conveniva avere pascoli abbondanti e di buona resa. Le contribuzioni erano di carlini 88 per ogni 100 pecore appartenenti ai sudditi, 66 carlini se forestieri e carlini 275 per il bestiame vaccino ed equino.

23 - Banni pretorii: Il banno regio (bannum), onde il verbo "bannire" e le voci volgari "bando" — "bandire", era il potere riconosciuto ai Re Franchi di dare ordini e di farli eseguire esaustivatnente, infliggendo a chi non li rispettasse o li trasgredisse una multa. cioè una sanzione pecuniaria, che nella sua misura normale era di 60 soldi d'oro, ma che poteva essere moltiplicata fino a raggiungere somme molto elevate. La voce "bannum" indicava nelle fonti tanto il potere del Re di emanare ordini, quanto l'ordine stesso e la multa inflitta ai trasgressori. Avvalendosi di questo, i Re Merovingi presero ad emanare ordini e provvedimenti dì carattere non più meramente esecutivo, bensì normativo. cioè con contenuto regolamentare o legislativo (banni pretorii).

24 - Giurisdizione civile e criminale: Le cause civili dovevano essere portate a termine nell'arco di tre anni (quelle particolarmente difficili), le cause criminali entro due mesi dal giorno dell'inizio del giudizio. La violenza era piuttosto comune e turbava la pace pubblica e domestica: furti, incendi, debiti non pagati, tradimenti, danno alle cose. Nelle cause criminali era ammessa la tortura come mezzo per estorcere la confessione, però nessun cittadino di buona fama poteva esservi sottoposto se non in caso di omicidio, rapina lungo le strade o in casa, incendio doloso, mutilazione o cicatrice permanente in una parte del corpo umano, violenza carnale contro donna onesta. Le pene erano rappresentate dalla condanna a morte, dall'esilio perpetuo o temporaneo, dalla carcerazione. dalla fustigazione, dalla mutilazione per taglione. Alcune pene meno gravi potevano essere tramutate in pene pecuniarie. Per i reati commessi di notte si incorreva in una pena doppia. Dopo il terzo suono della campana, era vietato andare di notte per il paese senza lume; colui che veniva incontrato dal notaio, da un officiale o altro incaricato del giudice, i quali si aggiravano per le vie come l'odierna polizia, era soggetto ad una pena pecuniaria. Era lecito però andare a chiamare il medico, il prete, andare e tornare dal forno o dal mulino, tornare da un viaggio. Era vietato portare armi specie se di notte e nascoste nel vestito. Per poter portare un'arma, bisognava avere l'autorizzazione del giudice, il quale rilasciava un permesso che stabiliva entro quali limiti territoriali era possibile portarla. L'abuso era punito con una severa pena pecuniaria.

25 - Mastrodatti: Nell'antico regno di Napoli funzionario addetto alla ricezione, alla registrazione e alla custodia degli atti; svolgeva funzioni giudiziarie (con il compito di istruire i processi penali) in sostituzione del giudice. Espletava anche funzioni di actuario, cancelliere, conservatore delle ipoteche e notaio. Gli erano devoluti i compiti di redigere e trascrivere in appositi registri atti e sentenze. di tener copia dei bandi, di aggiornare e notificare ai giudici gli elenchi dei condannati. Aveva pure l'obbligo di conservare i registri, le pratiche e gli elenchi da consegnare poi al suo successore. Gli introiti che affluivano nelle casse dello stato erano provenienti anche dall'esercizio di tale istituto.
Sia alla corte della bagliva che a quella del capitano, nelle «terre» feudali come nelle demaniali, era aggregato questo funzionario eletto dal parlamento, il mastrodatti (o maestro d'atti), il "cancelliere" che finì per diventare il personaggio più noto, riverito e spesso temuto dalle corti. Già prima della codificazione, infatti, aveva anche funzioni giudiziarie, per la facoltà riconosciutagli di sostituirsi ai giudici. Ma il rispettoso timore da cui era circondato gli derivava principalmente dal compito d'istruire i procedimenti penali. Il giudice si limitava solo a prendere visione degli atti raccolti, quando non si riduceva ad ascoltare ciò che sui fatti gli riferiva il mastrodatti, e ad emettere la sentenza.

26 - Bagliva: Ufficio che svolgeva prevalentemente funzioni fiscali. L'affitto della bagliva (ad extalium), di natura eccezionale in età sveva, come s'è visto, divenne poi ordinario in età angioina. Il fitto comprendeva naturalmente anche il «bancum iustitiae cum hannis iure impositis» e veniva bandito annualmente per pubblica asta. Quando poi le università cominciarono a dare la bagliva in appalto ai privati l'ufficio a poco a poco si svilì; i funzionari addetti alla riscossione chiamati camerlenghi erano malvisti da tutti. I baglivi erano pagati con un tomolo di grano al mese. Essi avevano compiti ben definiti: nominati dal giustiziere, erano preposti alle città, ai centri distrettuali, a grossi casali e persino a gruppi di villaggi, se piccoli, che poi si denominarono «baglive».

27 - Piazza o piazzolla de' fòra: Piazzatico. Portatico: gabella con corrispettivo di canone che era dovuto per l'occupazione del suolo pubblico o del dazio per i prodotti importati. I commessi viaggiatori pagavano il `piazzatico' ed il 'portatico'; il primo per il suolo che occupavano nelle piazze per la vendita delle loro mercanzie, il secondo per il passaggio doganale attraverso le porte. I prodotti locali e quelli di prima necessità (grano, biada) non rientravano nel carico di tassabilità.

28 - Portolania-Portolano: Era un diritto corrisposto per l'occupazione temporanea a scopi commerciali, di suoli comunali; era anche un incaricato della manutenzione delle opere civili (strade e ponti). Nel regno delle due Sicilie magistratura preposta a curare l'accesso e l'uso dei luoghi pubblici e delle vie di comunicazione.
Nell'Italia meridionale, sotto la dominazione sveva-angioina-aragonese ed in seguito nel regno delle due Sicilie, era il titolare di una carica che aveva giurisdizione sui porti più importanti, la tutela delle coste, la disciplina litoranea di importazione ed esportazione in particolare di granaglie, la concessione di licenze di pesca, nonché esenzioni dei diritti da corrispondere in relazione a tale attività.

29 - Zecca: Officina governativa cui era affidata la coniazione di monete e di sigilli metallici. Dagli inizi del secolo XVII alla fine del secolo XVIII la moneta metallica rimase il mezzo di pagamento più diffuso; le monete effettive erano pezzi, materialmente adoperati come mezzo di scambio; erano coniate in oro, argento e rame, oppure in una lega di rame e argento. Erano costituite da pezzi fabbricati dalla zecca e si caratterizzavano di alcuni elementi: il conio o impronta, ossia il disegno impresso sui due lati della moneta, per indicare lo stato di appartenenza e eventualmente l'anno di fabbricazione e il valore; il peso totale del pezzo; il titolo cioè la percentuale di metallo puro contenuto nella moneta (nella fabbricazione, infatti. di solito non si adoperava tutto il metallo puro ma questo era mescolato per una certa quantità con metallo meno pregiato, rame o stagno, ciò dipendeva in parte dalla tecnica ancora rudimentale e in parte dalla necessità di rendere il pezzo meno duttile). Quando si faceva riferimento al peso quindi si specificava se si trattava del peso totale o del peso del metallo più pregiato contenuto nella moneta. Il titolo si esprimeva generalmente in ventiquattresimi per l'oro e in dodicesimi per l'argento.

30 - Baglivo, Balivo o Balio (dal latino Baiulus) era, secondo lo statuto, ufficiale minore che esercitava atti prevalentemente materiali; Federico II favorì i balivi nel Mezzogiorno dando loro sempre più poteri. L'ufficio del baglivo (o del baiulo) fu di fatto svilito quando si prese ad affidargli solo funzioni fiscali: riscossione dei dazi, organizzazione dell'asta pubblica, sorveglianza sui danni provocati. Oltre a sostituire castaldi e actionari longobardi nella riscossione dei tributi dovuti allo stato, i baiuli ebbero funzioni amministrative e giudiziarie in materie appunto di carattere finanziario. Nominati dal camerarius, dopo la riorganizzazione dello stato normanno, i bauli e i giudici, che erano eletti dalle università e confermati dal camerario per delega sovrana, rappresentavano le università dell'antico Regno. Quali ufficiali di governo essi ricevevano ordini dal governo e dai magistrati. Ai poteri amministrativi, tra cui la salvaguardia dei beni dello stato e il controllo dei mercati, i bauli univano l'incarico di istruire e dirimere le controversie civili, purché di natura non feudale, e quelle criminali di lieve entità soggette ad ammende. Erano anche abilitati a procedere ad arresti di ladri ed assassini e, in qualità di collaboratori dei giustizieri provinciali, ne istruivano anche i processi civili e penali di competenza.
Tra i requisiti richiesti per la nomina, oltre all'esclusione degli ebrei, delle persone di basso ceto e degli illegittimi, era necessario non essere del posto o avervi consanguinei e beni propri. Come nei presidii romani delle provincie non era loro consentito, nel corso dell'incarico, contrarre matrimonio con donne del luogo, acquistare beni, accendere mutui o esercitarvi commerci.
Dal momento del giuramento, simile a quello dei giudici, duravano in carica un anno e conservavano l'ufficio fino all'arrivo del nuovo baglivo, tranne conferma, "a beneplacito", da parte del sovrano che poteva mantenerlo anche a vita. Come ai giudici, il salario veniva corrisposto dallo stato. Il primo gesto del baiulo nell'assumere la carica era di "piantare il palo", fuori dell'abitato in un sito da adibire alla raccolta delle immondizie, quale segno della propria autorità, cui poi seguiva la "grida" del banditore che richiamava le norme alle quali si sarebbe attenuto nell'assolvimento dell'incarico; era sempre esposto a inchieste e revoche. Egli autenticava la nomina di "taxatores" e di "collectores". Successivamente venne deciso che, come il capitano, doveva dar conto del suo operato anche se avesse ottenuto l'incarico per soli 15 giorni.
Il Faraglia ci offre un canovaccio dei compiti attributi al baglivo o baiulo e che consistevano nel: «giudicare le cause civili, sia reali che personali che non portavano pena corporale o mutilazione di membra, di vigilare sulle assise, sui pesi e sulle misure, di giudicare dei danni arrecati alle campagne». Svolgevano anche funzioni di controllo sulla polizia urbana e campestre curando l'igiene degli abitati e la manutenzione delle strade. Inizialmente il baiulo presiedeva il tribunale, assistito, oltre che dal cancelliere (mastrodatti) o dal notatio, da uno o più assessori 'giuresperiti' (iudices) scelti dal popolo, e confermati dal sovrano, tra i locali boni homines, che potevano essere anche rieletti. La corte si riuniva una o due volte alla settimana (in genere il mercoledì e il sabato) all'aperto e alla presenza del popolo. Sentite le parti, i testimoni e i difensori, e raccolte le eventuali allegationes, il giudice o i giudici emettevano la sentenza che veniva redatta dal notaio e sottoscritta da tutti (per i giudici analfabeti firmava il mastrodatti). Il 'baglivo' aveva la facoltà, prima di avviare il giudizio, di condannare, limitatamente alle sue competenze. al pagamento di ammende; ciò perché dalle multe si ricavavano i compensi per il giudice, il 'baglivo' e i mastrodatti. Nei primi tempi egli esigeva anche i diritti di piazza, di mercato sulle vendite al minuto (plateatico), il dazio su pesi e misure, il diritto di scannaggio (ius coltelli), i diritti di entrata delle merci attraverso le porte cittadine (portatico) e la tassa sul pascolo (fida) degli animali che i forestieri conducevano nel territorio. Provvedeva anche a far raccogliere canoni in natura (terratico) dovuti per i terreni demaniali coltivati (onera universalia per portiones as.segnatae). Tra le altre tasse riscosse dagli ufficiali dell'università vi è notizia delle viarium, pontium, murorum; pro salario medicorum, pro elemosina predicatorum, persino la tassa pro accomodatione horologii.

31 - Molino ad acqua: I molini erano mezzi meccanici azionati dalla forza motrice dell'acqua e servivano per rendere in polvere (farina) semi o cereali necessari per l'alimentazione. Vi era allora un monopolio dei mulini e dei forni, in quanto tutti o quasi tutti di proprietà del principe o feudatario del luogo, il quale poteva cosi controllare come era andato il raccolto, oltre che imporre una tassa su tutto il macinato. Per sfuggire a questi controlli e per molire piccoli quantitativi di semi speciali o cereali si usavano utensili in pietra mossi a mano.
Nei mulini propriamente detti l'acqua incanalata in condotte sempre più forzate (condotte strette e ripide) era convogliata verso una speciale ruota con tante scanalature, che la forza dell'acqua faceva girare. Questa ruota era appaiata ad una mola fatta di pietra che, sfregando su una mola fissa, rendeva in farina il grano ed i cereali in genere. l mulini ad acqua erano i soli che funzionavano specie d'inverno, in primavera ed autunno; in estate, in zone di montagna senza fiumi ma con torrenti, era problematica la molitura. I molini dovevano stare in ordine ed «i molinari» venivano pagati dalla corte. Era obbligo delle università trasportare il grano, sostituire le mole in pietra e tenere a posto e puliti i canali, per il normale scorrimento delle acque che rappresentavano la forza motrice che muoveva le macine. Per questo motivo si ordinava a tutti i camerlenghi e agli erari che fossero solleciti nel tenere in ordine i molini e nel pagare puntualmente i molinari a grano o a soldi. In caso che i molini non macinassero, i camerlenghi o gli erari erano tenuti a risarcire il danno per la molitura gratuita dovuta alla corte; tutto ciò era da verificare da parte del sindaco e degli eletti dell'anno. Se i molini non avessero funzionato perché le pietre per le macine non erano pronte, o perché i canali dell'acqua non erano puliti per permettere all'acqua stessa di muovere le macine, era l'università che doveva pagare la molitura.
I molini ad acqua erano di proprietà della corte (quasi tutti). I molinari erano da questa pagati in natura o in denaro e la corte stessa aveva il diritto di molire un certo quantitativo di grano gratis in determinati periodi dell'anno, dall'estate alla fine di dicembre.
Anche i forni erano soggetti a norme molto restrittive, in quanto rappresentavano una rilevante rendita per il feudatario. Nelle abitazioni private era proibito avere un forno, per cui le case più antiche ne hanno ancora oggi uno posticcio che sporge all'esterno. La popolazione era costretta a servirsi dei forni pubblici per cuocere il pane e lasciava al gestore la 24° parte del pane che vi aveva cotto e 12 pezzi di legna.

32 - Balchera. — detta anche gualchiera o battendiere: era una macchina costituita di due robusti cilindri di ghisa rivestiti di legno di larice, mossa da acque di canali e talora da forza animale. Serviva per follare (o fullare) i tessuti di lana e conferire loro compattezza, resistenza e morbidezza. La follatura era la diretta conseguenza della proprietà che ha la fibra di lana di feltrare, cioè la capacità che hanno le fibre di addentellarsi, aggrovigliarsi tra loro e di aderire le une alle altre. Infatti, un tessuto di lana esaminata allo stato grezzo, si presenta floscio e di poca consistenza; dopo la follatura si forma uno strato di feltro con aumento di resistenza e compattezza della stoffa, mentre le dimensioni del tessuto si riducono.

33 - Tomola o tomolo: misura di capacità per aridi (specie grano), usata in passato nell'Italia meridionale pari a 55,31 litri.

34 - Grano: Nel 1648 il grano fu venduto a carlini 18 a tomolo. A S. Arcangelo (1680), il grano costava carlini 7 a tomolo, l'orzo grana 35 e l'avena grana 25.

35 - Lentischio: E' un componente della cosiddetta 'macchia mediterranea' ed è frequente specie sul litorale. Se ne ricava una trementina che va in commercio sotto il nome di 'resina mastice', che serve per la preparazione del mastice dentario. Anticamente si usava estrarre olio che veniva usato come condimento dei cibi dai poveri e poi per l'illuminazione degli ambienti.

36 - Difesa della Procesa (o Precesa): Territorio ricco di alberi (querce e pascolo) e con una grande costruzione collegata alla Cavallerizza da una strada carrozzabile dove venivano allevate le cavalle fattrici (sono visibili ancora oggi i ruderi in contrada "Procesa"). Altri territori ricchi di pascoli e con grandi costruzioni erano posti sulla fiumarella di Roccanova a un miglio dallo sbocco sul fiume Agri, dove venivano allevati i puledri e che era chiamata «la difesa dei puledri». Anche questa «difesa» era collegata con la Cavallerizza da una strada, che serviva per allenare alle lunghe distanze (oltre 4 miglia) i puledri, in attesa di scegliere i migliori da avviare alle competizioni o ad altro servizio.

37 - Cavallerizza: Al limitare dei giardini di S. Arcangelo, non discosto dal fiume Agri, vi era la grandiosa dimora del feudatario dove egli passava gran parte dell'anno, chiamata anche cavallerizza o viridario (giardino d'inverno). Nel paese di S. Arcangelo, la casa del principe era l'attuale Palazzo Molfese, prima che fosse costruito quello situato nel Rione "S. Giovanni" e ora di proprietà di più famiglie. Era un grande palazzo posto a circa tre miglia dall'abitato, situato sulla sponda destra del fiume Agri. Edificato tra il 1400 ed il 1500 da architetti francesi, allora accreditati alla corte di Napoli, fu costruito da Eligio della Marra e poi abitato dai feudatari Carrafa Della Marra, che vi dimorarono fino all'inizio del 1600.
Questi erano soliti passare il periodo estivo nel viridario di Sant'Arcangelo, dove si recavano per riscuotere le prebende che venivano dal feudo e per amministrare le terre. La restante parte dell'anno la trascorrevano a Napoli, dove possedevano il palazzo a Riviera di Chiaia e una villa al Capo di Posillipo.
La Cavallerizza era a forma di elle con un corpo centrale, a cui si accedeva attraverso un ampio cortile, da cui si dipartiva una ampia scalinata che portava all'abitazione del principe. La casa gentilizia era situata su tre piani, lunga circa 80 m. e larga 10; era costruita in pietra e mattoni e con lamie a botte. Nella parte situata al piano terra vi erano i servizi del palazzo (così era chiamato anche nelle carte geografiche dell'epoca): la cucina con un pozzo d'acqua sorgente, la forgia, la cappella, il cellaro, magazzini vari dove porre le provviste alimentari, (dispensa), l'armeria, sala d'attesa e ricevimenti. L'insegna di seta con lo stemma di famiglia era innalzato nella parte più elevata della costruzione e faceva conoscere ai vassalli quando il feudatario era in loco. Non discosto dal palazzo vi era una sorgente chiamata 'della Vena Cupa'.
Al primo piano vi erano i saloni di rappresentanza maestosi e bene affrescati, come riferisce qualche autore. Ai piani superiori le stanze di soggiorno e da letto della famiglia. Annessa alla abitazione del principe era l'abitazione degli impiegati e del personale che attendevano all'andamento del palazzo.
Vi era una scuderia capace di 100 cavalli con annesse abitazioni per il personale addetto all'allevamento. La razza dei cavalli era molto pregiata ed era quella che forniva alla corte di Spagna sia i cavalli per il tiro che quelli per le corse oltre che i cavalli per la milizia. Esisteva una «carriera», cioè un manufatto coperto ad archi (28 archi per lato), lungo 200 m e largo 8 m, nel quale i cavalli, anche d'inverno, si allenavano alla corsa. Un giardino recintato, annesso alla cavallerizza, serviva per le provviste fresche del principe (ortaggi e frutta).

38 - Celsi - Gelsi baco da seta: Bachicoltura. Il baco da seta (sericaria mori), alimentato con foglie di gelso già verso il 2000 a. C. in Cina, ha permesso di tessere con il filo da esso prodotto, tessuti leggeri ma molto resistenti (la seta). Dalla Cina la coltura passò in Asia, poi a Costantinopoli ed infine in Grecia; da questo Paese si diffuse in Calabria e nella Sicilia al tempo di Ruggero II. Per poter produrre la seta era necessario coltivare gelsi le cui foglie costituivano l'alimento essenziale per il baco. Era una coltivazione redditizia e rappresentava un'entrata non indifferente per una regione come la Basilicata.

39 - lus copertura: Era una tassa che il lavoratore manuale (bracciale) corrispondeva al feudatario per i terreni che seminava; esso consisteva in un tomolo di prodotto per ogni tomolo di terreno seminato.

40 - Beni feudali e burgensatici: I Beni feudali erano quelli che appartenevano al feudo, sia come territorio che come rendita, mentre i beni burgensatici erano quelli che appartenevano alle persone, soggetti di diritto.

41 - Adoha: Contributo in danaro che il feudatario pagava per l'esonero dalle prestazioni militari; mentre i beni e le persone dei paesi e delle città erano sottoposti al pagamento di dazi e collette, i feudatari erano gravati da imposizioni speciali. Queste consistevano nell'obbligo del servizio militare per la protezione del territorio, secondo l'importanza e l'entità del fendo. Il feudatario forniva personale in armi (un milite armato era equivalente al servizio di tre uomini e tre cavalli armati), tuttavia egli era autorizzato a commutare tale servizio nel pagamento pecuniario di metà della rendita del fendo di quell'anno.

42 - Compassatore: Tecnico di epoca medievale che percorreva, a piedi o a cavallo, il territorio, descriveva la situazione orografica e le colture in esso esistenti, oltre a tracciare un disegno con le relative misure; era praticamente l'attuale agrimensore.

43 - Erario (con il nome dell'ufficio si identificava anche il funzionario addetto a dirigerlo). Durante il 1500 si chiamava erario pubblico il tesoro dello stato e naturalmente le imposte erariali erano quelle i cui proventi andavano nelle casse dello Stato. Il parlamento delle Università provvedeva anche alla nomina di un esattore dei tributi e di persone in grado di valutare in modo equo il giusto estimo dei beni fondiari dei cittadini (apprezzatori), eleggendo pure incaricati della corretta applicazione dei tributi (tassatori) e di rivedere i conti (razionali) delle amministrazioni scadute. Nel documento vengono riportati gli erari: Giuseppe Marcone, Domenico di Cesa, Francesco Labuffo, Antonio De Ricci, Domenico Antonio Giocoli, Diego Molfese.

44 - Fossa nella piazza: Erano manufatti scavati in luoghi facilmente accessibili ma protetti dai ladri che servivano per conservare il grano ed altri cereali. Erano rivestiti in mattoni e molto ben aerati, dal momento che conservavano, anche se per breve periodo, merce facilmente deperibile. Il grano ed altri generi commestibili si conservavano abitualmente anche nello spazio vuoto tra la lamia a botte ed il muro portante. In questo modo, si rendeva più stabile l'edificio per la spinta che il cereale esercitava. Infatti, nei vecchi palazzi si potevano trovare tracce di cereali ai lati delle mura portanti del sesto della lamia.

45 - Catagghio, Cataggio, Catuosce: locale terraneo adibito, nelle case contadine, a deposito di materiali ed attrezzi per l'agricoltura ed anche per il ricovero di animali (asini, maiali, galline).

46 - Cappella S. Maria delle Grazie. Era una cappella situata sulla strada che portava a Roccanova nel rione "Mauro"; era posta in una strada in salita ed era frequentata dalle prime famiglie che si erano trasferite in quel luogo.


 

Bibliografia  SEGUE >>       

 

 

 

[ Home ] [ Scrivimi ]